Preacher 2x13 "The End of the Road" (season finale): la recensione

La recensione del finale della seconda stagione di Preacher, intitolato The End of the Road

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Spoiler Alert
Finale di Preacher. La domanda da porsi a questo punto sarebbe: è questo il miglior adattamento possibile per la graphic novel cult? Ovviamente no. Sia perché si può sempre far di meglio, sia perché in più di un'occasione la serie di Seth Rogen e Evan Goldberg quest'anno ha dato l'impressione di girare a vuoto, non riuscendo ad imboccare una direzione netta da prendere. E non è che Preacher sia una cattiva serie, questo non sarebbe corretto affermarlo. È un progetto che ha avuto slanci di politicamente scorretto molto apprezzabili, che non dimostra alcuna indulgenza per i suoi protagonisti, anche a costo della nostra antipatia, e che in generale qualche colpo assestato riesce sempre a mandarlo a segno. Però manca qualcosa.

The End of the Road in realtà non tiene fede al titolo quanto potremmo immaginare. Il viaggio non termina qui, anzi riprende slancio verso una nuova e determinante direzione, quell'Angelville che molte volte abbiamo visto far capolino nei flashback di Jesse Custer. Inoltre, Preacher ha abdicato fin da subito a quella struttura on the road che il finale della prima stagione, e il materiale originale, lasciavano presumere, per concentrarsi su un approccio più statico, comprensibile per motivi produttivi, ma a volte frustrante. Comunque sia, e come era facile presumere, il season finale della serie AMC porta a compimento quelle storyline secondarie rimaste un po' appese.

Quindi ecco che Denis viene ucciso da Cassidy. Si tratta della storyline peggiore della stagione, prevedibile e mai intensa, nonostante gli spunti drammatici che pure avrebbe potuto offrire. Probabilmente la sua eredità maggiore, l'unica per quanto ci riguarda, corrisponde all'apparizione di un gruppo di vampiri denominato Figli del Sangue. Il background di Cassidy nonostante tutto è rimasto nell'ombra per due stagioni, e forse il prossimo anno potrebbe essere sviluppato. Molto più interessante è l'infatuazione per Tulip, che come nella graphic novel aggiunge un importante elemento di contrasto con Jesse.

Il pastore accetta quindi la proposta di Starr di diventare il nuovo Messia. Genesis tuttavia inizia a non rispondere più come dovrebbe, e lo stesso fulcro del potere viene meno. Veniamo privati dell'apparizione di Jesse al Jimmy Kimmel, peccato. Anche in questo caso, come in altri, il riflesso è sempre quello della critica alle costrizioni e alla cieca sudditanza al potere, di qualunque forma esso sia. Possiamo scommettere che il prossimo anno Hitler uscirà allo scoperto, pronto a diventare una figura seguita e ammirata, con un grande ascendente sulla popolazione (è un'occasione di critica sociale troppo ghiotta per non essere colta).

A questo proposito, è vero, la storyline di Eugene è completamente parallela – che vuol dire inutile – rispetto a quella di Jesse e gli altri, però ci è piaciuta. Anche in quest'ultima occasione, il momento del dialogo con Caronte è breve, ma spassoso, e la rappresentazione dell'inferno come una grande macchina burocratica è riuscita. Eugene poi è forse l'unico personaggio puro della serie, e ogni tanto fa piacere seguire qualcuno senza doppi fini. Arriva al termine anche la storia di Tulip, e anche in questo caso come per quello di Cassidy il senso del tutto risiede più nelle conseguenze del finale che in ciò che l'ha preceduto. La morte di Tulip si ricollega ai primi momenti dell'episodio, ad una richiesta di resurrezione posta da Jesse a qualcuno. L'apparizione-non apparizione di Dio nel finale – bella la transizione nell'occhio del costume – a quel punto parla da sé, allineandosi alle varie blasfemie stagionali.

Preacher continua a vivere in questa zona di medietà in cui le scelte più ispirate vengono ridimensionate da momenti meno riusciti. Vedremo se il prossimo anno riuscirà finalmente a esplodere.

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