Preacher 1x10 "Call and Response" (season finale): la recensione

Finale col botto per Preacher, che tra un momento spiazzante e l'altro chiude una fase della sua storia, mentre un'altra ha inizio

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Spoiler Alert
Esistono serie, o film, in cui il valore del destino, della predestinazione, del semplice corso che le cose dovranno assumere, entra di prepotenza in gioco, filtrato dal valore della scrittura. Tutto questo mentre noi, spettatori esterni, ci godiamo lo spettacolo. Tanto per restare sulla AMC, Breaking Bad ne era un esempio perfetto. Alcune cose andavano in un certo modo perché doveva essere così, perché la vita a volte semplicemente si diverte a prendere le decisioni per te, e tra la rassegnazione e la frustrazione, può sbocciare – soprattutto per lo spettatore – un godimento quasi grottesco nell'assistere a quella scena. Preacher è anche questo, ma con una differenza concettuale e sostanziale enorme: Dio esiste.

Preacher, tanto il fumetto cult quanto la serie tv, sono ambientati in un mondo che è dominato dal volere divino, in cui ogni personaggio effettivamente si trova a barcamenarsi tra libero arbitrio e predestinazione, in cui ogni comportamento o caratterizzazione può oscillare da un lato o da un altro perché, dall'alto, qualcuno ha deciso così. Genesis è il jolly nella storia e nella sua scrittura, l'elemento fuori dalle regole che può cambiare l'ordine delle cose. Almeno fino a che non vedremo scatenarsi in tutta la sua forza, dobbiamo però fare i conti con il destino – che non è solo destino – di cui sopra. Call and Response, finale di stagione di Preacher, ruota tutto intorno a questo concetto.

Lo fa a modo suo, ed è un modo che spiazza e respinge. L'episodio non è perfetto, lo è per limiti suoi e scelte che lo portano fuori rotta, ma riesce a riscattarsi (questo è un po' valido per tutta la stagione) grazie al suo forte stile, alla capacità di andare oltre ciò che è lecito attendersi, lasciando spiragli aperti a varie interpretazioni, incuriosendo e rilanciando per il futuro. E dire che in realtà l'incipit, e ciò che segue, non sono dei migliori.

Con tutto il bagaglio di aspettative che ci portiamo dietro per il confronto in chiesa, la vicenda di Carlos è un riempitivo che non ci dice niente e che rimuoviamo dopo poco. Un flashback ad hoc ci trasporta a tempi lontani (ma non lontanissimi) in cui Tulip e Jesse erano rapinatori insieme al loro vecchio socio. Non tutto andrà come sperato, ma questo l'avevamo già intuito ampiamente. Capigliatura di Jesse a parte, non rimane nulla di veramente memorabile in questo scorcio del passato dei due. Né le motivazioni per il loro agire con l'uomo, né la caratterizzazione o il rapporto tra i due ne gioveranno.

Andiamo quindi oltre, e arriviamo finalmente al confronto in chiesa. Bisogna dirlo, qui per un momento il respiro si blocca. È solo un attimo, prima di intuire che qualcosa effettivamente non va nell'apparizione dell'Onnipotente di fronte alla chiesa di fedeli di Jesse. Ma è comunque un momento forte, vivo, che emerge in modo prepotente, e non potrebbe essere altrimenti, data la straordinarietà dei fatti narrati. Tutto è grottesco, imponente, spiazzante (fa molto Mago di Oz), e qui emergono con rara forza – dato anche il contesto – tutti i personaggi. Cassidy che tutto sommato non si scompone troppo, Jesse che pone delle domande non universali, ma personali, Tulip che non le manda a dire, perfino Odin che sveste i panni vissuti fino a quel momento e ritrova un'umanità eccezionale.

Poi tutto viene ricondotto a più misere e terrene considerazioni – per quanto rimanga qualcosa di incredibile – ma ormai gli elementi in gioco si sono mossi. E da qui ci ricolleghiamo alle considerazioni iniziali. L'esplosione che rade al suolo alla città è un colpo di spugna, e di scrittura, su tutti i personaggi (almeno, così sembrerebbe) che abbiamo conosciuto quest'anno. Possiamo chiederci: è destino o sfortuna? O meglio, è stato Dio o il caso a farlo accadere? Le cause dell'eplosione erano già state suggerite nello scorso episodio, e sarebbe stato ancora più forte vederle accennate fin dall'inizio della stagione, ma in ogni caso qualche dubbio rimane.

A un livello più metanarrativo, è assurdo che tutti i personaggi (Odin, Emily, Donny, lo sceriffo) che abbiamo seguito quest'anno siano morti così. Ma questa può anche essere un'assurdità controllata, che possiamo interpretare nel senso di qualcosa di sfuggente e inafferrabile, che deve andare così per forza (o forse per evitare testimoni), o nel senso di una serie che si libera da tutte le catene del passato ora che, riavvicinandosi allo svolgimento del fumetto, riparte da una tavola calda verso un futuro ancora ignoto.

L'intera stagione è stata un grande prologo (per certi versi questo finale si pone idealmente come prequel al fumetto, nonostante le moltissime differenze) ad un'avventura che ha molto da raccontare e da esplorare. L'idea di un focus più stretto sul trio di protagonisti on the road, braccati dal pistolero implacabile, ci incuriosisce molto per il futuro. Rimangono dieci episodi probabilmente imperfetti, spesso dispersivi, quando non frustranti nella risoluzione delle situazioni e nelle risposte, ma con molti personaggi azzeccati, una scrittura interessante e stile da vendere. Una maggiore fluidità nel racconto e un maggior lavoro sul rapporto tra i protagonisti, che individualmente funzionano già bene, permetterà alla serie di fare ancora meglio.

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