Prayers for the Stolen, la recensione
Tatiana Huezo con Prayers for the Stolen fa un film per esplorare, per osservare e soprattutto per ascoltare e farci ascoltare: con picchi di emotività e di grande cinema si manifesta piano piano, in un crescendo la cui apoteosi è forse frettolosa ma che regala un’intensità rara.
Ana trattiene il respiro per non fare rumore. È il gioco di una bambina che, con un cambio di segno repentino che apre al drammatico, diventa presto un gioco di sopravvivenza: deve fare silenzio, nascosta sotto a una rete in giardino, perché gli uomini del cartello della droga non la trovino, rendendola l’ennesimo fantasma del villaggio. È su questi toni e questi respiri che racchiude il suo senso profondo Prayers for the Stolen di Tatiana Huezo,un film sensoriale, intenso e sorprendente, fatto di rumori e di suoni - più che di immagini - e che nell’esperienza terrorizzante di un ascolto in attesa del pericolo trova la sua schiacciante forza evocativa.
Proprio lo sguardo intenso e invalicabile è ciò che caratterizza la protagonista Ana, che da bambina ad adolescente seguiamo nel suo percorso di crescita (attraverso tre attrici: Ana Cristina, Ordóñez González e Mayra Membreño). La regista Tatiana Huezo attraverso Ana, le sue due amiche e sua madre (Mayra Batalla) racconta così l’ambiente che le circonda, non il contrario: il personaggio, costruito nei suoi piccoli gesti, in pochissime parole, è ciò che serve per illuminare di riflesso un’alterità nascosta e per questo ancora più spaventosa. Il cartello, un mondo maschile e violento, è qualcosa che non vediamo mai e quando lo vediamo è lontano - dentro furgoni scuri che sfrecciano - o incompleto, visto per scorci e frammenti attraverso il punto di vista di chi si nasconde.
In questa terra di donne dove la femminilità è pericolosa Ana è costretta dalla madre a tenere i capelli corti: nel dolore ingenuo e capriccioso di quando si separa dai suoi lunghi capelli c’è in nuce tutto il percorso emotivo che seguirà, raccontato sempre in sottrazione, trattenuto all’inverosimile, e che la porta a vergognarsi del suo sesso, ad avere paura del suo corpo. In una sequenza di gioco didattico a scuola Tatiana Huezo ne racchiude con un semplice espediente desiderio, terrore e una dolcezza tragica, tra la normalità di un qualunque percorso di crescita e l’anormalità di una realtà violenta.
Tatiana Huezo con Prayers for the Stolen fa un film per esplorare, per osservare e soprattutto per ascoltare e farci ascoltare: con picchi di emotività e di grande cinema si manifesta piano piano, in un crescendo la cui apoteosi è forse frettolosa ma che regala un’intensità rara.
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