Poveri Ma Ricchi, la recensione
Il film più divertente della carriera di Fausto Brizzi è anche il suo primo remake. Con un lavoro grandioso sul cast Poveri Ma Ricchi vince la sua partita
La vera notizia è però che in Poveri Ma Ricchi si ride e moltissimo, si ride di basso ventre e di testa. È un film comico dal tempismo impeccabile che sforna battute e situazioni esilaranti ad intervalli regolari come un metronomo. Il suo segreto sta in un lavoro sugli attori simile a quello che si faceva nelle grandi commedie popolari italiane degli anni ‘50, quelle in cui gli attori portavano in scena il proprio repertorio, e non a caso, proprio come in quei film, i personaggi che non funzionano per niente sono i figli. Se però De Sica fatica moltissimo a trasferire ad un popolano il suo repertorio di mosse, interiezioni e tormentoni maturato ed evoluto in anni di personaggi eleganti e sofisticati, la rediviva Anna Mazzamauro anima una nonna che conquista a gomitate un ruolo maggiore di quello che potrebbe avere in altri film simili, ricordando a tutti la differenza che faceva nei film con Villaggio.
L’unica nota stonata di questo film orientato sugli attori (che vanta anche una serie di cammeo da incorniciare) è Enrico Brignano, che vive una trama tutta sua (assente nell’originale), una storia d’amore quasi parallela alla trama originale e che sembra rifiutare i princìpi del film. Non sembra un miserabile poveraccio come gli altri all’inizio, non sembra un arricchito dopo la vincita, è invece sempre se stesso, sempre Brignano. Questo è più che sufficiente per qualche risata ma nuoce all’equilibrio generale di un film che marcia evidentemente ad un passo cui l’attore romano non è abituato e che non riesce a tenere. Perché mentre il suo personaggio cerca il colpo di fioretto, gli altri hanno già affondato da tempo, in ogni scena e abbondantemente; quando lui riesce a capitalizzare una risata gli altri ne hanno regalate già 10.