Pour la France, la recensione

Pour la France trova il giusto distacco da una storia personale e riesce a dire tutto quello che vuole con semplicità ed efficacia

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La recensione di Pour la France, presentato al Festival di Venezia

Va dato atto a Rachid Hami di saper trattare un tema personale con il distacco che si addice ai migliori registi. La storia di Pour la France è ispirata a quella di suo fratello, Jallal Hami, morto nell’autunno del 2012 per un atto di nonnismo. Durante l’addestramento nella scuola militare, fu costretto a gettarsi nell’acqua gelida insieme alle altre matricole. Non riemerse con i compagni, venne dato per disperso fino a che non fu ritrovato il corpo esanime. 

L’inizio di Pour la France (proposto all’estero con il titolo For my country), mette in scena quello che è accaduto nella realtà. Segue dopo il prologo un film di finzione, con personaggi inventati, pur ricalcando l’esperienza diretta del regista. Dentro ci sono due anime, che incredibilmente interagiscono bene tra di loro e sono messe in scena con una distanza narrativa perfetta. Mai patetico, sempre razionale, Pour la France parla del lutto di una famiglia che desidera per il defunto una cerimonia e una sepoltura secondo il massimo onore nel cimitero militare. Di origine Algerina, emigrati in Francia per cercare pace e sicurezza, credono nei simboli. Mentre gli ufficiali operano gesti obbligati secondo il protocollo, loro ne fanno del cerimoniale l’unico risarcimento possibile. Un giovane morto durante l’addestramento servendo la patria deve essere equiparato a un caduto in combattimento. 

In parallelo Rachid Hami fa un’opera fortemente personale, soffermandosi sul passato tra i due fratelli algerini Ismael e Aissa. Ci sono i contrasti con il padre, il viaggio verso la terra straniera, l’integrazione e la ricerca di un proprio ruolo nella società. Questa è la parte più traballante, a cui avrebbe giovato qualche minuto in meno. I salti tra presente e passato aiutano però a espandere la portata del lutto. Grazie alle informazioni che abbiamo colpisce la famiglia, in un modo diretto, e coinvolge anche le istituzioni in una maniera più ampia e trasversale nel tempo.

La domanda va oltre il come è stato possibile che questo accadesse. È molto più provocatoria: come vogliamo celebrare queste persone? Cittadini e patrioti di serie A e di serie B sulla base del colore della pelle e del paese di nascita. Però che attaccamento che c’è in Aissa verso la Francia, una terra a cui ha dato più di quanto gli sia stato restituito. Contemporaneamente poi la sua assenza nella morte diventa una presenza viva nella capacità di ricompattare la sua famiglia durante il funerale. L’ingiustizia che intesse legami, che mette in secondo piano il passato per poter piangere insieme nel presente.

Peccato che il film perda un po’ di compattezza a lungo andare e abbia uno stile fin troppo lineare, senza virtuosismi o ricercatezza autoriale. Se il pensiero è sempre presente, l’occhio di Rachid Hami emerge solo sui tetti. Come nel precedente La Mélodie lo skyline della città e le silhouette dei personaggi che guardano l’orizzonte sono le immagini migliori. Voglia di futuro, di allargare lo sguardo, di vivere la propria giovinezza. 

Pour la France è un film autenticamente innamorato della diversità che attraversa la popolazione. Possiede una fiducia contagiosa pur mostrando il peggio delle istituzioni. Riesce a portare avanti le proprie idee attraverso i fatti e gli ostacoli che incontrano i personaggi, senza proclami o grandi discorsi. Il massimo della complessità per un pubblico amplissimo. Non è cinema popolare, è cinema che risuona in tutti.

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