Possiamo essere tutto, la recensione
Ci sono forse troppi spunti inanellati rapidamente, scalfendo così solo la superficie dei tanti problemi generati dalla situazione in cui vivono i protagonisti
Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.
La famiglia Fares si è trasferita ormai da molti anni in Italia ma ancora fatica a essere considerata italiana, per via delle sue origini marocchine e per il suo credo islamico. Se i genitori sembrano essersi ormai abituati, i tre figli stanno ancora scoprendo i timori e la riluttanza che la società ha nei loro confronti, di fronte al loro colore della pelle, ai tratti marcati del volto e al volo che copre i capelli. È difficile sopportare le malelingue a scuola o essere respinti a un colloquio di lavoro solamente a causa delle proprie origini. Possiamo essere tutto racconta queste difficoltà, tratteggiando il precario equilibrio in cui vive chi si trova a metà tra due culture, combattendo costantemente tra la volontà di aderire alle proprie radici e lo sguardo rivolto al futuro.
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Arricchiscono il volume tre articoli di una professoressa universitaria di storia islamica, della direttrice del reparto Educazione di Amnesty e di una scrittrice italiana con genitori marocchini; sono tre voci potenti che forniscono più sfaccettature al contesto descritto in Possiamo essere tutto. Se i messaggi che vengono raccontati sono senza dubbio importanti e meritevoli di essere trasmessi a più lettori possibili, è il come che potrebbe generare confusione nel lettore: ci sono forse troppi spunti inanellati rapidamente, scalfendo così solo la superficie dei tanti problemi generati dalla situazione in cui vivono i protagonisti.