Pose (terza stagione): la recensione

Pose termina con la terza stagione: gli anni '90, la lotta all'AIDS, narrazione fittizia che si fa cronaca storica

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Pose (terza stagione): la recensione

Pose è stata una serie importante sotto molti punti di vista, primo fra tutti il tema della rappresentazione. Non soltanto come perno dei temi centrali dello show, ma anche all'esterno, come veicolo per raccontare veri attori e attrici che tradizionalmente non trovano spazio sullo schermo. Legata ad una dimensione molto precisa, quella delle ballroom degli anni '80, la serie tv di FX ha cambiato tono nel corso degli anni, scivolando lentamente verso una rappresentazione sempre più drammatica dei fatti. La terza stagione della serie, l'ultima e la più breve, completa quel racconto di sopravvivenza e si colloca accanto ad altri grandi racconti del piccolo schermo dedicati al tema dell'AIDS. Anche se sarebbe ingiusto ridurre tutto Pose al solo racconto della malattia.

Gli ultimi episodi della serie raccontano uno spaccato di vita degli anni '90, l'era Giuliani a New York e la lotta contro l'AIDS. Si inizia a partire da una scena di repressione e contenimento, con la chiusura dell'Hellfire Club dove lavora Elektra, e tutto il resto seguirà, tra rifiuto, autoaccettazione e desiderio di continuare a vivere. Seguiamo ancora le vite di Pray Tell (Billy Porter), di Blanca (Mj Rodriguez), di Angel (Indya Moore), della stessa Elektra (Dominique Jackson). I ball continuano ad esistere, ma è sempre più l'eco di un passato lontano, o di una serie lontana, mentre problemi più gravi bussano alla porta.

Come il classico Angels in America, o il più recente It's a Sin, anche Pose è narrazione fittizia che si fa cronaca storica. Come in It's a Sin, l'accelerazione degli eventi e il passaggio da un anno al successivo, mostrato sullo schermo, porta con sé un'idea di fatalismo, l'idea che qualcosa dovrà cambiare, e non necessariamente per il meglio. Le condizioni di Pray Tell peggiorano, e questa è soprattutto la sua stagione, nel momento in cui la scrittura della serie decide di abbracciare un tono più melodrammatico. Non è più il Pose degli esordi, in cui l'idea di autodeterminarsi nella grande città attraverso le sfacciate esibizioni al locale poteva bastare a se stessa.

La serie è sempre più consapevole dei suoi temi, o forse solo più determinata a ricalcarli. Ne perde un po' in freschezza e naturalezza, ma ha il passo delle belle serie tv che possono permettersi di sperimentare maggiormente. Sono molti i momenti cantati, che stavolta sovrastano le esibizioni nella ballroom. Ed è sempre più forte il senso di complicità e di famiglia instaurato tra i personaggi. Dopo gli attriti della prima stagione e gli scontri aperti e violentissimi della seconda (ma ce ne sarà uno anche molto forte nell'episodio Intervention) i personaggi si muovono verso una nuova quiete. Che porterà con sé anche l'idea di morte imminente, ormai compagna costante nella scrittura.

Eppure, proprio per la presenza di questa, ci sarà anche un invito a vivere, a cogliere i singoli attimi, a cercare la felicità. E sarà il caso di Angel, a cui la serie regala la serenità tanto cercata prima del lungo epilogo dolceamaro della serie.

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