Pose 1x04, "The Fever": la recensione
Il quarto episodio di Pose, incentrato sull'AIDS e la disforia di genere, è il capitolo più maturo e complesso finora offerto dalla serie al suo pubblico
Si parla di AIDS, tema cui Ryan Murphy dedicò l'adattamento televisivo di The Normal Heart, e di identità del corpo, della ricerca di un sé fisico che sia specchio armonico di quello interiore. Temi complessi che, seppur restando fedeli alla prevedibilità tipica di Pose, fanno spiccare alla serie un volo mirabile in termini di coinvolgimento emotivo e di spessore drammatico.
Il dramma di Candy scaturisce da una sequela di sconfitte nella ballroom, dove la donna si ostina a gareggiare in categorie fisicamente lontane dalla sua apparenza; questo ci riconduce a Elektra (Dominique Jackson), intenzionata a procedere al cambio di sesso ma frenata dal proprio compagno Dick (Chris Meloni), suo facoltoso sostentatore che le impone un ultimatum: un futuro in cui Elektra si sia privata del pene è un futuro di cui lui non vuole far parte.
La sua firma nel documento che attesta il consenso per l'operazione di riassegnazione sessuale ha il sapore di una vittoria a lungo sofferta: alla paura dell'eventuale dolore fisico si accosta quella, ben più certa e tangibile, dell'abbandono da parte di Dick, affezionato a un'idea di Elektra in cui la nostra eroina non si è mai del tutto riconosciuta. "Scegliere se stessi non è mai sbagliato", le mormora il medico per confortarla nel momento della scelta; sbagliato no, di certo difficile.
Scegliere se stessi significa conoscersi, e spesso questo processo di autoanalisi porta a fronteggiare i più grandi timori in cui l'uomo possa imbattersi: è il caso di Pray Tell (Bill Porter) che, messo sotto pressione da Blanca, si sottopone al test per l'HIV, che gli consegna - sotto forma di risultato positivo - una condanna a morte dalla data incerta. Nella sua estrema linearità che talvolta ricorda, come una madeleine troppo melensa, gli automatismi narrativi delle soap opera, Pose trova però un facile riscatto nella sciagura immane che la permea sin dal primo episodio, il flagello dell'AIDS che rimarca l'effimera esistenza dei suoi protagonisti.
Viviamo tuttora strascichi di una concezione fatalista che, negli anni descritti dalla serie di Murphy, era pensiero pressoché universale: il morbo come punizione divina per i peccatori - omosessuali, tossicodipendenti, transessuali - e purga dell'umanità atta a detergerla dalle sozzure e a far sopravvivere solo gli eletti senza macchia. In questo senso, anche il melodramma più banale in Pose diviene memento necessario e caldo invito a quell'empatia spesso tradita che, al di là delle differenze d'identità o di orientamento, ci connota come appartenenti al genere umano.