Pose 1x04, "The Fever": la recensione

Il quarto episodio di Pose, incentrato sull'AIDS e la disforia di genere, è il capitolo più maturo e complesso finora offerto dalla serie al suo pubblico

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Spoiler Alert
Giunta a metà del proprio corso, la prima stagione di Pose ci regala, con The Fever, l'episodio più maturo e ricco di spunti di riflessione. Ricusando - almeno in parte - lo schema fiabesco che ha caratterizzato i primi tre capitoli del suo arco narrativo, la puntata si ancora ad altre strutture, non meno tradizionali ma figlie piuttosto della grammatica tragica del cinema americano.

Si parla di AIDS, tema cui Ryan Murphy dedicò l'adattamento televisivo di The Normal Heart, e di identità del corpo, della ricerca di un sé fisico che sia specchio armonico di quello interiore. Temi complessi che, seppur restando fedeli alla prevedibilità tipica di Pose, fanno spiccare alla serie un volo mirabile in termini di coinvolgimento emotivo e di spessore drammatico.

The Fever è, ancora una volta, titolo ambivalente che fa riferimento tanto ai preoccupanti sintomi che precedono la diagnosi di sieropositività quanto agli sfoghi febbrili conseguenti a interventi di ritocco estetico effettuati in condizioni igieniche discutibilissime. Vediamo infatti Damon (Ryan Jamaal Swain) curato dall'apprensiva Blanca (MJ Rodriguez), timorosa che il suo protetto abbia contratto come lei il virus dell'HIV; parallelamente, assistiamo all'odissea di Candy (Angelica Ross) che, insoddisfatta delle proprie sembianze filiformi, finisce per ritrovarsi imbottita di silicone con risultati disastrosi.

Il dramma di Candy scaturisce da una sequela di sconfitte nella ballroom, dove la donna si ostina a gareggiare in categorie fisicamente lontane dalla sua apparenza; questo ci riconduce a Elektra (Dominique Jackson), intenzionata a procedere al cambio di sesso ma frenata dal proprio compagno Dick (Chris Meloni), suo facoltoso sostentatore che le impone un ultimatum: un futuro in cui Elektra si sia privata del pene è un futuro di cui lui non vuole far parte.

Per la prima volta, il dramma della disforia di genere viene affrontato di petto da Pose, vissuto in prima persona e non attraverso gli occhi di una comunità paradossalmente ostracizzante: Elektra è bella, ricca, ammirata, eppure infelice della propria condizione, incapace di riconoscersi in un corpo che l'uomo che ama trova invece irresistibile. Il suo dilemma è di una semplicità disarmante e, forse proprio per questo, di un'efficacia inedita. La scena in cui, davanti allo specchio, nasconde i genitali con l'ausilio di ampie mandate di nastro adesivo è, a oggi, la più iconica di tutta la serie.

La sua firma nel documento che attesta il consenso per l'operazione di riassegnazione sessuale ha il sapore di una vittoria a lungo sofferta: alla paura dell'eventuale dolore fisico si accosta quella, ben più certa e tangibile, dell'abbandono da parte di Dick, affezionato a un'idea di Elektra in cui la nostra eroina non si è mai del tutto riconosciuta. "Scegliere se stessi non è mai sbagliato", le mormora il medico per confortarla nel momento della scelta; sbagliato no, di certo difficile.

Scegliere se stessi significa conoscersi, e spesso questo processo di autoanalisi porta a fronteggiare i più grandi timori in cui l'uomo possa imbattersi: è il caso di Pray Tell (Bill Porter) che, messo sotto pressione da Blanca, si sottopone al test per l'HIV, che gli consegna - sotto forma di risultato positivo - una condanna a morte dalla data incerta. Nella sua estrema linearità che talvolta ricorda, come una madeleine troppo melensa, gli automatismi narrativi delle soap opera, Pose trova però un facile riscatto nella sciagura immane che la permea sin dal primo episodio, il flagello dell'AIDS che rimarca l'effimera esistenza dei suoi protagonisti.

Viviamo tuttora strascichi di una concezione fatalista che, negli anni descritti dalla serie di Murphy, era pensiero pressoché universale: il morbo come punizione divina per i peccatori - omosessuali, tossicodipendenti, transessuali - e purga dell'umanità atta a detergerla dalle sozzure e a far sopravvivere solo gli eletti senza macchia. In questo senso, anche il melodramma più banale in Pose diviene memento necessario e caldo invito a quell'empatia spesso tradita che, al di là delle differenze d'identità o di orientamento, ci connota come appartenenti al genere umano.

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