Pose 1x02, "Access": la recensione

Il secondo episodio di Pose riconferma quanto visto nell'esordio di stagione, barcamenandosi tra stilemi da fiaba e drammatico ritratto di ghettizzazione

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Prosegue il viaggio alla ricerca dei topos di Pose, ovvero il vademecum alla scena delle ballroom newyorkesi negli anni '80. In Access più ancora che nell'episodio pilota, infatti, Ryan Murphy sembra voler guidare lo spettatore per mano alla scoperta delle luci e, soprattutto, delle ombre che il contesto in cui la sua serie è ambientata reca con sé.

Emergono, con potenza dirompente, le due facce che compongono la natura di Pose: quella fiabesca, già messa in luce nell'esordio di stagione, e quella sociale, atta a sensibilizzare il pubblico su un segmento d'umanità che, secondo le parole di uno dei personaggi secondari, è relegato "in fondo alla lista". In un mondo in cui la prevaricazione sembra essere il principio base per l'autoaffermazione, "tutti hanno bisogno di qualcuno che li faccia sentire superiori."

Ma come ci si può sentire superiori quando si resta bloccati sul gradino più basso della piramide sociale? In questo senso, Pose diviene con Access un atto d'accusa feroce e drammatico contro la ghettizzazione interna alla comunità LGBTQI, mettendo a nudo l'ostracismo nei confronti del suo caleidoscopico e festoso universo di personaggi. Ecco quindi i trofei delle ballroom diventare l'unica possibilità di rivalsa cannibale di questa corte reietta, in un meccanismo che si nutre di trionfi effimeri che alleviano la consapevolezza di una discriminazione che sembra irrisolvibile.

Ma non tutti sono rassegnati a una vita di placida tranquillità, solleticata dalle banconote di facoltosi signori che mantengono in lussuosi appartamenti il loro "vizio privato": al contrario di Elektra Abundance (Dominique Jackson), la sua ex protetta Blanca (MJ Rodriguez) si fa arrestare pur di non far calpestare la propria dignità, invocando a gran voce il suo Manhattan al bancone del bar gay Boy Lounge. "Tesoro, perché devi sempre sceglierti battaglie che non puoi vincere?" le chiede la sodale Lulu (Hailie Sahar). "Perché sono quelle per cui valga la pena lottare", risponde l'agguerrita Blanca, salvata in extremis proprio dall'ex mentore Elektra. Su chi altro contare, in un mondo determinato a disprezzare o, alla meglio, ignorare la presenza dei transessuali?

La sensibilità di Pose nel raccontare i propri protagonisti passa attraverso la riproposizione di situazioni familiari trasportate in un contesto inusuale: vediamo quindi la "madre" Blanca spiegare al "figlio" Damon (Ryan Jamaal Swain) i fatti della vita a suo uso e consumo, offrendo al ragazzo il discorsetto che molti giovani omosessuali avrebbero preferito sentire dalle labbra dei genitori al posto di sproloqui su api e fiori. Lo prepara così responsabilmente alla neonata relazione con Ricky (Dyllon Burnside), avvenente ladruncolo senzatetto che gli ruba il primo bacio in uno spoglio ma scenografico capannone che enfatizza, ancora una volta, il tono favolistico dell'intera operazione seriale.

Giunti alla fine della seconda ora di narrazione, non è troppo presto per cominciare a interrogarsi proprio sulle scelte di trama che Pose sta portando avanti; se il didascalismo necessario per spiegare allo spettatore medio un contesto sociale di cui ignora leggi e dinamiche interne solleva il pubblico dal dover eventualmente intuire concetti non esplicitati, sul fronte narrativo si poteva certo osare qualcosa di più. Per adesso, non c'è storyline che devii da un binario tanto tradizionale da risultare troppo prevedibile: la storia d'amore tra Stan (Evan Peters) ed Angel (Indya Moore) ne è, tanto quanto la battaglia a suon di travestimenti tra Elektra e Blanca, l'esempio più lampante.

Certo, il collante emotivo c'è (ancora) tutto: basta però andare col pensiero a perle come FeudL'assassinio di Gianni Versace per rendersi conto di come qui la stratificazione di senso sia ben più povera, la profondità di scrittura decisamente più grossolana. Ancora una volta ci chiediamo: basta un contesto accattivante e diligentemente spiegato - senza il peso del tedio - a sostenere una trama priva degli sfavillii che si propone di raccontare con l'immagine? Il dubbio resta.

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