Pop-Up Pilgrims, come Lemmings, ma in realtà virtuale - Recensione
Un puzzle game che non giustifica il coinvolgimento della realtà virtuale: la recensione di Pop-Up Pilgrims
Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".
Sulla carta, l’idea, il concept da cui si è originato Pop-Up Pilgrims ha senso, valore, un peso di tutto rispetto. Del resto, che male c’è in un puzzle game dalle meccaniche di facile assimilazione e dall’art design accattivante, che punta sull’immersione garantita dal PlayStation VR per distinguersi dalla concorrenza? Assolutamente nulla, a meno che non ci si accorga, dopo un paio di partite, che l’appariscente involucro creato ad arte da Dakko Dakko, team di sviluppo già responsabile del più che discreto Scram Kitty And His Buddy On Rails, in realtà nasconda ben poco, per non dire nulla.
[caption id="attachment_182437" align="aligncenter" width="1000"] Volendo, si può coinvolgere un amico in co-op. Nei panni di un cinghiale, giocando direttamente sulla TV, potrà fornire ulteriore supporto ai pellegrini in difficoltà.[/caption]
Poco male se la creatura di Dakko Dakko non sfrutta i benefici della VR sotto il profilo prettamente ludico, ma desta più di una perplessità ruotare la testa e accorgersi che, in realtà, l’unica porzione di mondo che abbia qualcosa da mostrare sia quella posta di fronte all’utente. In tutte le altre direzioni, difatti, non c’è assolutamente nulla da vedere, se non una campitura monocromatica che simula il cielo." Nonostante riuscitissime ed originali boss fight, a suggellare il superamento di uno scenario, i sessanta puzzle presenti hanno uno svolgimento piuttosto basico"
Se da una parte è una scelta di design che possiamo comprendere, vista l’evidente volontà di strizzare l’occhiolino ad un target meno smaliziato, dall’altro non possiamo non biasimare un level design piuttosto povero, che esaurisce le idee in una manciata di schemi. Nonostante riuscitissime ed originali boss fight, a suggellare il superamento di uno scenario, i sessanta puzzle presenti hanno uno svolgimento piuttosto basico, legato alle stesse meccaniche che si ripresentano fondamentalmente immutate sino ai titoli di coda. È pur vero che per acciuffare tutti i collezionabili bisogna affinare ingegno e abilità con il pad, ma è fin troppo poco, indipendentemente dalla vostra esperienza con il genere. Non mancano nemici che tenteranno di abbattere i pellegrini, né negozi in cui acquistarne di nuovi per sostituire i caduti, ma le cose da fare, i pericoli da tenere in considerazione, resteranno praticamente sempre gli stessi per tutta la durata dell’epopea.
[caption id="attachment_182438" align="aligncenter" width="1000"] Lo stile grafico è delizioso e ricorda i libri pop-up per bambini. La domanda, tuttavia, è sempre quella: c’era bisogno della realtà virtuale?[/caption]
Anche il sistema di controllo, inoltre, mostra il fianco a qualche critica. Se trigger e analogico svolgono al meglio il compito preposto, rispettivamente far saltare il pellegrino prescelto e scivolare tra i livelli di parallasse che compongono ogni ambientazione, la selezione dell’avatar è affidata all’impreciso headtracking, comando che vi costerà un paio di game over almeno.
Pop-Up Pilgrims si macchia di una grave colpa: non è affatto onesto con il videogiocatore. Lo costringe ad indossare il PlayStation VR, ad accettarne le indiscutibili scomodità, senza dare nulla in cambio, mortificando le reali potenzialità di questa avveniristica tecnologia. Anche come puzzle game si rivela assolutamente modesto, divertente a patto che non cerchiate nulla di impegnativo, né di originale, ideale solo per intrattenervi per una manciata di partite senza alcuna pretesa.
Ci aspettavamo sicuramente di più da Dakko Dakko, pur constatando che non ci troviamo di fronte ad un pessimo lavoro.