Polvo Serán, la recensione: un viaggio tra la vita e la morte tra musical e dramma
Un dramma d’amore tra artisti su fine vita con litigate e balletti ai limiti della perfezione
Dopo aver visto Polvo Serán viene voglia di recuperare tutta la filmografia del catalano classe 1983 Carlos Marqués-Marcet. Che sia, insieme alla co-sceneggiatrice nonché collega regista Clara Roquet, una nuova grande promessa del cinema iberico lo sapevamo già. Ma con Polvo Serán le ambizioni si fanno internazionali come confermato dal premio Platform (una sorta di Miglior Regia Innovativa) al Toronto International Film Festival dello scorso settembre.
I realizzatori (occhio che ci siamo anche noi italiani in co-produzione con Giovanni Pompili e al montaggio con Chiara Dainese) ambientano il film a Barcellona, lo dividono in tre atti e ogni tanto inseriscono dei momenti musical e di danza piuttosto elaborati. Immaginate le sequenze dance di C'è ancora domani di Paola Cortellesi meno goffe e con bare o interni di autobus o costumi da scheletri coinvolti. Possiamo dire che ci saranno dei veri e propri minuti di letterali “danze macabre”. Eppure il film sa essere anche gioviale e spiritoso (“Non hai un tumore al sedere, per cui siediti!”) per poi tutto d'un tratto diventare duro e pieno di frasi cattive e insulti. La bellezza è quella di entrare dentro la famiglia complessa di Flavio (Alfredo Castro) e Claudia (Angela Molina), con figli avuti da precedenti matrimoni e parenti sui generis perché l'ambiente è quello di artisti e intellettuali con i realizzatori che fanno sentire ogni singolo frammento di arte e cultura assorbito da quelle persone come anche fanno Justine Triet e Arthur Harari in Anatomia di una caduta. I film sono simili per quanto riguarda la capacità di raccontare personaggi di cultura medio-alta con perfetta aderenza non tradendo le loro origini.