Pollo alle Prugne – la recensione
[Venezia 2011] Il secondo film della coppia Satrapi-Parannaud, dopo Persepolis, è una delicata favola dai risvolti drammatici a cui è difficile resistere...
“Tu stai soffrendo: è per questo che suoni così bene” viene detto dal maestro al giovane Nasser Ali Khan. L’arte è legata all’amore, alle emozioni forti, che fanno vibrare l’animo come corde tese su di uno strumento. E’ da queste considerazioni che parte il secondo film di Marjane Satrapi, la celebrata autrice, sia del fumetto che della sua trasposizione su grande schermo, di Persepolis.
Teheran, 1958. L’anziano, ma non troppo, musicista Nasser Ali Khan non riesce più a suonare, il suo violino è stato distrutto e lui ha deciso di stendersi sul letto e aspettare che la morte arrivi. Sembra una decisione assurda, ma un lungo flashback ci dimostra come dietro questa scelta si nasconda il malessere di una vita a cui fu negata la felicità. E non c’è niente che possa cambiare la situazione, neanche l’offerta di un assaggio di quel Pollo alle Prugne (da qui il titolo) che aveva sempre amato mangiare.
La seconda parte, in particolare gli ultimi minuti, sono al contrario un bell’esempio di come il film “sarebbe dovuto essere” fin dall’inizio: ci si concentra unicamente sul protagonista lasciando stare il resto dei personaggi che per quanto con le loro storie personali spesso riescono a strappare un sorriso, appesantiscono la narrazione di addobbi di cui non c’è bisogno. Nasser Ali ha una storia forte con sé, e il duo di registi sa come raccontarla utilizzando al meglio animazione, musica e interpretazioni dei suoi attori, tra tutti il sempre bravo Mathieu Amalric. E così si finisce che ci si commuove e si esce con la sala asciugandosi gli occhi umidi di una storia che ha preso al cuore.