La recensione di Polite Society, il film in uscita in sala dal 15 giugno
Luci da dramma serio, messa in scena da thriller se non da cinema d’azione, montaggio eccitato da action comedy, recitazione da commedia, scrittura molto precisa che dà un contentino ad ognuna di queste componenti e regia che tiene tutto insieme.
Nida Manzoor è all’esordio nel lungometraggio dopo aver creato, scritto e diretto la serie
We Are Lady Parts, ed è una scoperta. Con
Polite Society prende una storia risaputa, quella di una famiglia borghese di pakistani a Londra, che vive nella comunità alto borghese pakistana londinese, e in cui come in un romanzo di
Jane Austen la madre vorrebbe una vita convenzionale e una matrimonio per le figlie mentre queste sognano altro. La piccola di essere una stuntwoman, la grande di essere un’artista. La trama inizia quando ad una festa la grande viene introdotta ad uno scapolo d’oro e questi si interessa a lei, stimolando un cambio, una virata verso la tradizione che la piccola vive come un tradimento e che farà di tutto per invertire, per far tornare la sorella nel mondo di chi persegue i propri sogni, invece di quelli degli altri.
Quello che è sempre stato raccontato con il tono del dramma e qualche volta con quello della commedia, qui prende la piega d’azione. Protagonista della storia è la figlia minore, lei legge tutto quello che la circonda come un film d’azione e noi con lei. Si troverà così in un intrigo con laboratori segreti, grandi villain dalle risate malefiche, prigionia, guardie del corpo e una grande festa in cui tutto può culminare. Quella che poteva facilmente essere una storia nel segno di Sognando Beckham (molti i possibili punti di contatto) diventa in realtà più un film di Edgar Wright (specialmente per il sound design e l’accoppiamento con il montaggio), grazie alla maniera in cui Nida Manzoor maneggia il linguaggio cinematografico. Cioè diventa una storia con una trama di genere che in realtà ne nasconde un’altra, una che ha a che fare con i sentimenti che i personaggi provano gli uni per gli altri e non si confessano, in questo caso il desiderio di avere la sorella con sé e non farsela rubare.
È evidente che questa regista il cinema lo conosca tutto e sappia come dare un tono diverso a ogni scena usando espedienti di messa in scena o anche solo un cambio nello stile di montaggio. Soprattutto è evidente come abbia chiari in testa tutti i livelli più profondi di lettura della storia che ha scritto, a partire dal titolo che fa riferimento indiretto alla violenza che esiste nell’alta società tradizionale e che il film rende con la lente della violenza coreografata da cinema d’arti marziali. Ma poco potrebbe fare
Polite Society se
Nida Manzoor non avesse trovato
Priya Kansara (già vista in
Bridgerton), la sua protagonista. Mentre tutto il cast di supporto lavora tra la commedia (le amiche) e il genere (la grande
Nimra Bucha, villain perfetto), lei ha un’espressività fuori dal comune, una tenacia e una forza nello sguardo che la rendono credibile e come le attrici migliori riesce sempre a tenere un tono autoironico nel fondo di ogni scena. Questo compensa anche l'evidente fatica e poca credibilità nelle parti più d'azione. È sempre credibile in questo mondo al limite del parodistico oltre a possedere uno sguardo complesso, sempre interessante e terribilmente determinato.