Venezia 70 - The police officer's wife, la recensione

Con un andamento non semplice che tuttavia non arricchisce ma solo appesantisce un film comunque poco interessante, Groning ha portato forse il peggior film della selezione...

Critico e giornalista cinematografico


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Il ritorno di Philip Gröning, a 8 anni da Il grande silenzio, è un lungometraggio di finzione, centrato su un piccolo nucleo familiare, quello del poliziotto del titolo, composto da madre, padre e figlia piccola (circa 5-6 anni). Le loro giornate oscillano tra una calma e una quiete ordinarie e improvvisi scatti di rabbia del padre, che possono sconfinare in atti di disaffezione verso la bambina come in violenza immotivata contro la moglie.
La trama è in buona sostanza tutta qui (escluso l'evento che chiude il film), la cronaca di un legame stretto ma mortale, affettuoso e contemporaneamente violento, sia fisicamente che emotivamente.

A non convincere per nulla sono però le scelte di Gröning riguardo lo storytelling. Diviso in circa 60 capitoli questo film di quasi 3 ore contrappunta di continuo la narrazione con i cartelli di inizio e fine capitolo (in media compaiono una volta ogni 3 minuti), sceglie cioè di spezzare di frequente la storia e quindi di raccontarla per piccoli bocconi, sequenze quotidiane, alle volte piccoli salti nel futuro (si vede un anziano che sarebbe il poliziotto da vecchio), alle volte visioni. Una serie di quadretti giustapposti, che trasformano la corsa del film in un insieme di scatti, molti dei quali non propriamente alla massima velocità. Anzi.

Ma anche tollerando la fatica imposta allo spettatore dal regista, appare lo stesso fuori luogo una simile scelta di appesantimento (non migliora la comprensione, non enfatizza la storia, non introduce senso), soprattutto visto che i personaggi messi in piedi da The police officer's wife, di loro, già stentano ad appassionare. La storia di violenza domestica è infatti tanto meno appassionante quanto più è immotivata, l'idea della cattiveria contrapposta ai sentimenti positivi è indagata pochissimo e tutto sembra girare più dalle parti dell'umiliazione femminile (quella sì forte) che da quelle di un ritratto onesto e potente.

A mancare quindi è proprio un impianto narrativo, anche considerando la volontà di Gröning di non imbastire un intreccio vero e proprio. La capacità di generare curiosità e coinvolgimento con le parole, con le immagini o anche solo con il flusso degli eventi riguardo la messa in scena è un capitolo anche peggiore.

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