Polar, la recensione
Fumettoso più nelle intenzioni che nella pratica, Polar vorrebbe fare ironia postmoderna ma non ne ha il gusto
Basato su un fumetto poi graphic novel, è un’operazione che finge solo di flirtare con lo stile fumettoso e in realtà mette in scena uno svolgimento paradossale per il proprio godimento che non coincide con quello del pubblico. La storia di vendetta e di un killer che vuole uscire dal giro ma il giro non vuole che lui si goda la pensione è già uno spunto con un buon equilibrio tra grottesco e violento, ma a Jonas Akerlund, il regista, non basta e carica ogni immagine, ogni momento e ogni scena d’azione saturando l’interesse già dopo le prime poche decine di minuti.
A giudicare dall’uso del sangue digitale e degli effetti sonori da horror, Polar dovrebbe trionfare proprio nel godimento di una violenza fasulla e da operetta ma non è mai supportato dal gusto che consente questo godimento, non trova mai il piacere visivo o anche solo l’ironia dell’assurdo. L’impressione è di ascoltare una barzelletta buona rovinata da qualcuno che non le sa raccontare.
In armonia con queste caratteristiche il film si agita moltissimo per non essere convenzionale ma lo fa con il massimo della convenzionalità, convinto che davvero una gang di killer strani e vagamenti ironici, intenti a compiere omicidi goderecci sia qualcosa di originale. O che dall’altra parte il tenero rapporto tra un killer anziano e una ragazza delicata e fragile abbia davvero un potenziale in sé, senza bisogno di essere curato e approfondito.