Poker Face, la recensione

Il materiale di partenza per un buon film di serie B viene inutilmente inspessito in Poker Face da frasi fatte e una regia non all'altezza

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La nostra recensione di Poker Face, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2022

Un'intrinseca e naturale tensione si crea nel mostrare dei giocatori seduti ad un tavolo da poker: la macchina da presa gira tra i loro volti, mostrandone il nervosismo, gli sguardi di sfida, le occhiate fugaci, il sudore sulla pelle di chi è più agitato e l'inflessibile rigore di chi non rivela nulla. Un momento come questo c’è anche in Poker Face ed è in fondo l’unica scena minimamente riuscita, l’unica dove la regia è azzeccata, forse quasi inconsapevolmente, aderendo a una grammatica consolidata. Ma è anche un momento fugace, perché qui il gioco d'azzardo è mero pretesto, metafora in un film altrimenti completamente sbagliato.

L' opera seconda dietro la macchina da presa di Russell Crowe vede lo stesso attore nei panni di un miliardario, arricchitosi con la tecnologia, che decide di chiamare i suoi amici di una vita per una partita a poker nella sua tenuta a Miami. Dietro l'invito, in verità si cela qualcos'altro: il protagonista, come tutti gli altri personaggi, nasconde qualcosa, e la serata sarà l'occasione per svelare i segreti di ciascuno. Le accuse, gli odi e la tensione crescono fino a quando i presenti si troveranno ad affrontare una banda di ladri che intende irrompere nell'abitazione e arraffare i quadri di alto valore al suo interno.

Per intreccio, durata (neppure 90 minuti) e personaggi il film poteva essere un godibile piccolo titolo di serie B, dalle basse pretese ma dalla buona fattura. Crowe, non certo il massimo dell’espressività, si circonda qui di altre ben poco poker face: Liam Hemsworth, Elsa Pataky e perfino il rapper RZA tra quelle più celebri. Tutti loro sono caratteri appena abbozzati, schematici nell'essere ciascuno incarnazione di certi valori. Così come la trama non è certo di spessore, tenuta in piedi solo da continue rivelazioni e colpi di scena e da un finale action molto grossolano, dove sarà inevitabile la trasformazione del protagonista in giustiziere pronto a tutto per la propria famiglia. A fronte di tutto questo, ci si sarebbe potuti anche divertire, se non fosse che il film si prende troppo sul serio, risultando involontariamente ridicolo.

Piuttosto che puntare sulla sua essenzialità, Crowe infatti cerca di dare spessore alla storia attraverso la sua voice over che propone teorici spunti di riflessione, del livello del "la vita è un gioco" (non centra il poker, il valore dei soldi, ma il rapporto d'amicizia tra i personaggi quasi fossimo in Regalo di Natale), senza che tutto questo sia mai approfondito veramente, rimanendo un'accozzaglia di frasi fatte. Vediamo ricorrenti inquadrature del mare, come se bastassero quelle per essere espressivi. Ci presenta il personaggio della figlia in due minuti, non sufficienti a farci provare simpatia per lei quando tornerà nel finale. Vorrebbe creare tensione, ma è tutto inutile se i criminali sono da barzelletta, se l’unico modo per tenere alto ritmo è affidarsi a un accompagnamento musicale martellante.

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