Pokémon: Detective Pikachu, la recensione
Riadattato per il cinema il mondo dei Pokémon diventa noir in Detective Pikachu e non stona per niente!
Con pochissime invenzioni di trama e un tono grazie al cielo infantile Pokémon: Detective Pikachu racconta quindi di una sparizione (il padre del protagonista, compagno di Pikachu) su cui indagare e di un progetto più grande che riguarda Mewtwo nella città dell’armonia. Ma la convivenza non è mai pacifica nei film di grande incasso moderni visto che non lo è nel mondo degli spettatori che vanno a vederli. La nostra società non è più fatta di una sola tipologia umana e il convivere è un problema su cui ci si scontra ogni giorno. Lo raccontano moltissimi grandi film contemporanei (il franchise di Il Pianeta Delle Scimmie, la saga degli X-Men e anche un cartone Disney come Zootropolis sono solo alcuni esempi): il grande ostacolo alla convivenza è sempre il desiderio di una categoria di spazzare via l’altra. Del resto la metropoli di questo film ne ricorda un’altra in cui la convivenza non funzionava bene, la Los Angeles piena di cartoni di Chi Ha Incastrato Roger Rabbit.
I Pokémon insomma sono carini e teneri, fanno ridere, tutti ridono di loro e con loro, sono come noi, sono in mezzo a noi, in certi casi siamo noi. Questo si capisce da Pokémon: Detective Pikachu, in cui anche la star del mondo Pokémon, al pari del suo mondo, è trasformato in un pupazzo cinico e sbruffone (il perché non se lo spiegano nemmeno gli stessi protagonisti, la trama però fornirà una risposta). Pikachu è sia tenero che doppiato in controtendenza con l’ironia del Ryan Reynolds post-Deadpool. Anche qui il contrasto è molto riuscito, Pikachu smargiasso non è ridicolo e nel complesso tutto Detective Pikachu non nasconde la sua natura bambinesca ma sa riderne.