Pokémon: Detective Pikachu, la recensione

Riadattato per il cinema il mondo dei Pokémon diventa noir in Detective Pikachu e non stona per niente!

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
In ogni convivenza utopica esiste il germe del conflitto, in ogni armonia quello dello scontro. Anche nell’utopica città in cui Pokémon e umani convivono senza combattimenti o catture. È lì che un magnate cerca di costruire una nuova società in cui Pokémon e umani possano dare il meglio di sé, ma è lì che pare che il padre del protagonista, un detective, sia scomparso. Unico indizio è Pikachu, il suo partner Pokémon che non si sa perché non è scomparso con lui, che non ricorda niente e che all’improvviso può parlare con il figlio del suo compagno.

Con pochissime invenzioni di trama e un tono grazie al cielo infantile Pokémon: Detective Pikachu racconta quindi di una sparizione (il padre del protagonista, compagno di Pikachu) su cui indagare e di un progetto più grande che riguarda Mewtwo nella città dell’armonia. Ma la convivenza non è mai pacifica nei film di grande incasso moderni visto che non lo è nel mondo degli spettatori che vanno a vederli. La nostra società non è più fatta di una sola tipologia umana e il convivere è un problema su cui ci si scontra ogni giorno. Lo raccontano moltissimi grandi film contemporanei (il franchise di Il Pianeta Delle Scimmie, la saga degli X-Men e anche un cartone Disney come Zootropolis sono solo alcuni esempi): il grande ostacolo alla convivenza è sempre il desiderio di una categoria di spazzare via l’altra. Del resto la metropoli di questo film ne ricorda un’altra in cui la convivenza non funzionava bene, la Los Angeles piena di cartoni di Chi Ha Incastrato Roger Rabbit.

Più di tutto però Pokémon: Detective Pikachu mostra quale sia la conclusione cui sono arrivate le major dopo decenni di adattamenti: cambiare tutto non vuol dire per forza non essere fedeli e soprattutto risolve molti problemi. Così il mondo dei Pokémon ha subito un make-up noir fatto di metropoli nipponizzata, pioggia e detective in pericolo. E funziona! Nulla è originale se non lo spirito e i personaggi, ma l’aria è proprio quella giusta. Quest’idea trova una chiave e un look cinematografici alla storia senza perdere la natura innocente e bambinesca della proprietà intellettuale. Il melange non stona anzi è virtuoso, come se i Pokémon fossero nati per popolare una città assieme agli uomini e come se la loro apparenza fosse perfetta per nascondere qualcosa.

I Pokémon insomma sono carini e teneri, fanno ridere, tutti ridono di loro e con loro, sono come noi, sono in mezzo a noi, in certi casi siamo noi. Questo si capisce da Pokémon: Detective Pikachu, in cui anche la star del mondo Pokémon, al pari del suo mondo, è trasformato in un pupazzo cinico e sbruffone (il perché non se lo spiegano nemmeno gli stessi protagonisti, la trama però fornirà una risposta). Pikachu è sia tenero che doppiato in controtendenza con l’ironia del Ryan Reynolds post-Deadpool. Anche qui il contrasto è molto riuscito, Pikachu smargiasso non è ridicolo e nel complesso tutto Detective Pikachu non nasconde la sua natura bambinesca ma sa riderne.

Una volta sarebbe stato un ottimo film animato, oggi è un film ibrido. E va benissimo così.

Continua a leggere su BadTaste