Poetry - La recensione

L'esistenza di una nonna viene sconvolta da una drammatica notizia, che la porterà a scelte estreme. Dopo il capolavoro Oasis, torna il grande cinema di Lee Chang-dong...

Condividi

Recensione a cura di ColinMckenzie

Titolo Poetry
RegiaLee Chang-dongCast
Yu Junghee, Lee David, Kim Hira, Ahn Naesang
Uscita01-04-2011 

Qualcuno forse si ricorderà che, qualche anno fa, avevo parlato di un film chiamato Oasis. Si trattava di uno dei melodrammi più particolari e fantasiosi che abbia ma visto, un trionfo di sentimenti e poesia che funzionava miracolsamente bene.

Sembra quindi indicato che sia Poetry ('Poesia') il nuovo film del regista Lee Chang-dong, che però si presenta decisamente diverso da quel capolavoro. Non è una critica - anche se devo dire che questo film non ha suscitato in me le stesse emozioni - ma un'ovvia constatazione, visto che la tematica è differente.

Tutto ha inizio con un cadavere sul fiume. Siamo di fornte a thriller e un mistero? Decisamente no. Il film prosegue in maniera lenta e non capisci dove voglia andare a parare. Lo scopriamo dopo mezz'ora e la spiegazione è raggelante nella sua totale 'normalita'.

Da qui, inizia un percorso molto particolare, che ci porta a conoscere una donna straordinaria, che con enorme dignità affronta situazioni in grado di distruggere chiunque. Cosi, assistiamo a una sorta di via crucis tra disperazione e problemi personali. Come se fosse un Lars Von Trier senza sadismo e con molta più malinconia. O magari un'incomunicabilità antonioniana che non scade mai nel ridicolo, neanche di fronte a una scena che rischia di risultare orrenda (e che invece non risulta una provocazione gratuita).

Ma forse il pregio migliore della pellicola è da ricercare nelle piccole cose. Personaggi che appaiono in scena per due minuti e che in questo breve tempo ci svonvolgono con la loro profondità per quello che dicono e soprattutto per quello che possiamo solo immaginare. In generale, ci imbattiamo in vite vissute che arrivano all'improvviso, in maniera realistica ma mai banale.      

Non c'à dubbio che la pellicola metta a disagio per la sua ricerca costante tra poesia e crudeltà. Cosi come si rimane colpiti per l'assoluta tranquillità dei genitori e delle loro azioni. E anche in uno stile semplice e senza grandi picchi, l'attenzione ai dettagli (come i fiori che simbolizzano il sangue) è ammirevole.

Forse, l'unico vero pericolo è rischiare di finire nello stereotipo del film asiatico lento e meditativo, forse anche troppo lungo per il suo bene. E di sicuro non si tratta di una pellicola per tutti e che è difficile consigliare dopo una dura giornata di lavoro. Inoltre, non è ben chiaro a cosa serva per un film del genere il doppiaggio. Per carità, si tratta di un lavoro svolto bene, ma per titoli come questo non si potrebbe ricorrere ai sottotitoli, fornendo una versione più efficace e risparmiando anche qualcosina? O il pubblico d'essai alla fine non è poi così diverso da quello dei multiplex?

Detto tutto questo, impossibile non rimanere ammirati da un finale così memorabile, direi quasi perfetto. E impossibile non consigliare la visione di questo film...                         

Continua a leggere su BadTaste