Please Baby Please, la recensione
Da questa confusione è impossibile distinguere la forma dal contenuto. I dialoghi sulla condizione maschile e l’idea di sesso come liberazione dell’individuo sono certamente chiari, ma - oltre a sembrare vecchi di almeno 50 anni - non si capisce su cosa vogliano davvero riflettere.
La recensione di Please Baby Please, su MUBI dal 31 marzo
Diretto da Amanda Kramer, Please Baby Please potrebbe essere in tutto e per tutto un film degli anni Sessanta: e questo è anche, in questo caso, il suo problema. Il film infatti è una favola delirante e in technicolor sullo scontro tra la piccola borghesia intellettuale delle grandi cities americane e un gruppo di Lady Gents, veri e propri guerrieri della notte che sfogano il loro senso di abbandono da parte della società usando violenza e vivendo senza valori. Affascinata e turbata da questa forza distruttiva e sessualmente carica, la coppia (Andrea Riseborough e Harry Melling) comincerà ad avvicinarvisi sempre di più per scoprire i limiti della loro identità di genere, sessuale, civile. Tutti questi conflitti, tuttavia, in Please Baby Please sembrano lontani anni luce dalla contemporaneità: l’allusione all’oggi - svuotata di potere riflessivo - non è che un baraccone ammiccante, visivo ed esagerato, che tutto mostra ma nulla comunica.
Da qui, a cascata, la narrazione si accartoccia: la trama è confusa, le tensioni tra i personaggi pure. Quali sono i conflitti? Quali i pesi e i contrappesi della storia? In questo modo quegli unici momenti che dovrebbero rivelarci i protagonisti non funzionano, e il tono perennemente sopra le righe del film confonde continuamente lo spettatore sulla funzione linguistica/narrativa delle singole scene.
Da questa confusione è quindi impossibile distinguere la forma dal contenuto: i dialoghi sulla condizione maschile e l’idea di sesso come liberazione dell’individuo sono certamente chiari, ma - oltre a sembrare vecchi di almeno 50 anni - non si capisce su cosa vogliano davvero riflettere. Tanto rumore per nulla.
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