Pixels, la recensione

Animato da due spinte diverse, una verso l'avventura e l'altra verso la comicità di Sandler, Pixels non trova un equilibrio e sceglie la strada peggiore

Critico e giornalista cinematografico


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Ci sono due anime che lottano in Pixels, una è quella di Adam Sandler che spinge verso Un weekend da bamboccioni, Cambia la tua vita con un click, Io vi dichiaro marito e... marito e via dicendo; l'altra è quella di Chris Columbus (Gremlins, Mamma ho perso l'aereo, I Goonies, Harry Potter) che spinge sul lato avventuroso di un film d'invasione aliena da girarsi con ironia, sulla commedia dal passo svelto.

Inutile dire che tra le due si fa per tutto il tempo il tifo per la seconda, cioè per la vittoria di un'idea di cinema un po' più pragmatica di quella molto autoreferenziale di Adam Sandler, in cui sembra che le gag (sempre della medesima tipologia) si ripetano costantemente in un continuo ripassare i medesimi luoghi comuni e in cui l'azione segue la comicità, non viceversa. Alla fine vincerà Adam Sandler, affondando quello che poteva essere una curiosa variazione sul tema di Ghostbusters, i 4 eroi inusuali che salvano una città.

In realtà, ancora più in basso, in Pixels vince la voglia di fare un film ad uso e consumo della tecnologia nel quale (come sempre in Sandler) vince il passato, il desiderio della sua generazione di affermare la propria supremazia su quella più giovane, l'esaltazione di ciò che era e la desolazione per ciò che è. Anche nei videogiochi.

Il problema con Sandler è che nella maniera in cui prende in giro ciò che lo circonda per metterne in scena le contraddizioni c'è moltissimo disprezzo. Disprezzo per chi è più giovane, disprezzo per chi non è americano, disprezzo per chi non è come lui. Finchè era molto giovane questo disprezzo generale colpiva anche i potenti e aveva un senso, dava un andamento caotico e ribelle alle sue storie perchè distruggeva le strutture incancrenite (la scuola, il mondo elegante del golf) ed era davvero divertente. Non a caso forse l'idea comica migliore del film è che uno degli amici della compagnia (Kevin James) sia presidente degli Stati Uniti. Ma in definitiva oggi Adam Sandler è solo un vecchio conservatore.

Come risultato di tutto questo Pixels è un film dai riferimenti comprensibili solo alle persone che hanno giocato i videogame citati, e basta, uno in cui anche la parte moderna della storia, la lotta cioè contro degli alieni che scelgono di assumere forme e regole dei vecchi videogame, sembra ad uso e consumo dei quasi coetanei del protagonista. A mancare totalmente è quello che doveva fare la differenza: l'avventura. Il fatto che questi 4 sfigati e un po' scemi abbiano un momento di gloria che gli conferisca epica, che tutto ciò sia in fondo divertente e che però riesca a solleticare il desiderio di immedesimazione.

Indegno di comparire anche all'interno della filmografia sui videogame, tanto non sembra comprenderne il punto finale, i pregi e l'interesse della materia, Pixels beneficia unicamente delle grandi idee visive del video originale che ha dato origine a tutto: Pixels di Patrick Jean.

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