Pitch Perfect 3, la recensione

Il terzo stanchissimo episodio della serie Pitch Perfect sbarca in costa azzurra senza la minima idea

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Arriva il momento anche per Pitch Perfect di andare in trasferta. Arrivato al terzo film, esaurita ogni forma di idea possibile immaginabile (anche se, obiettivamente, il mondo della musica visto dal basso ne offrirebbe), la serie basata sul libro di Mickey Rapkin cambia location e addirittura sconfina in un altro genere per trovare le nuove motivazioni che evidentemente la sua natura non gli offre.

Le Bella’s si sono sciolte, ognuna ha un lavoro insoddisfacente (anche se l’ultima volta ci avevano detto che Beca finalmente era entrata a lavorare per l’etichetta musicale come desiderava) e come in I Blues Brothers il richiamo della musica le rimette insieme per un tour a supporto delle truppe americane in Europa. Cioè in posti come la Spagna o la costa azzurra e non (come ci si sarebbe aspettati) in Afghanistan. In quel tour incontrano altri gruppi rivali che fanno musica rivale, in una competizione che scatta immediatamente non interna alla musica a cappella ma tra stili diversi. In mezzo a tutto questo Ciccia Amy pare aver ritrovato il padre che noi non sapevamo avesse perduto.

C’è per fortuna un po’ di autoironia a tenere malamente a galla una barca varata senza voglia ma l’impressione di una gita forzata in cui tutti non vedono l’ora di chiudere il contratto e procedere verso altri lidi è fortissima. Non solo i personaggi hanno ormai espresso tutto quel che dovevano esprimere ma il film non fa niente per convincerci del contrario, cioè che ci sia ancora qualcosa da raccontare, preferendo incollare tra loro diverse performance con scuse gradualmente sempre meno plausibili.

Non mancheranno storie d’amore, agnizioni, momenti di spionaggio (?!), fughe rocambolesche ed esplosioni (!!), che mai sono appartenute ai film della serie di Pitch Perfect e che non a caso qui stonano tantissimo. La produttrice Elizabeth Banks infine trova spazio per il suo personaggio di commentatrice nonostante evidentemente non ci sia.

Continua a leggere su BadTaste