Pitch Perfect 2, la recensione
Più centrato, ribelle e soprattutto divertente del precedente, Pitch Perfect 2 centra quell'obiettivo parzialmente mancato dal primo
Questa volta Kay Cannon, libera dall'ingombro dato dal dover rispettare il libro da cui il primo film prendeva le mosse, è lasciata a briglie sciolte. La sua sceneggiatura, messa in scena da Elizabeth Banks (è la prima volta per lei in un lungo) si preoccupa decisamente meno di seguire dei binari canonici ed è libera di graffiare e rovinare qualsiasi cosa. Rovina la storia di seconda opportunità, rovina il trionfo umano, rovina le linee d'amore, il riscatto delle brutte, la grande gara finale e anche lo stage nell'etichetta musicale, non c'è bersaglio o elemento della storia che non sia massacrato da battute, screzi o da un'adesione agli stereotipi talmente eccessiva da risultare comica. Pitch Perfect 2 realmente perfeziona l'idea alla base del primo e nonostante sia nettamente sbilanciato sui dialoghi riesce lo stesso a creare un'aria di ribellione al carattere smielato e conformista del genere cui il film dovrebbe appartenere che ne costituisce il lato migliore. Ancora di più si ribella al carattere smielato con cui cinema e tv, in generale, rappresentano la società e i ruoli dei sessi.
In questa storia di un gruppo di cantanti che cerca di rimediare ad una brutta figura affrontando una prova che sembra più grande di loro, sembra di poter intuire anche qualcosa di superiore alla semplice presa in giro di un genere. C'è nella scrittura di Kay Cannon una qualità insurrezionale contro lo status quo che proviene dritta dalla miglior comicità al cinema e che aderisce molto allo stile di Phil Lord e Chris Miller. Le sue situazioni non sono ribaltate, il suo umorismo non viene dal rovesciare comicamente equilibri solitamente delicati o usuali (ad esempio l'uomo che si finge donna o il cantante in realtà stonato) ma dal ricreare situazioni e personaggi plausibili per pomparne fino all'inverosimile le caratteristiche grottesche. Questo Pitch perfect 2 riesce a farlo in ogni scena (alle volte è anche troppo), come se non esistesse nulla di sensato in quel che accade e come se ogni tentativo di fare qualsiasi cosa apparisse futile e destinato a portare solo più ridicolo ai personaggi.