Pirati dei Caraibi 2

Will ed Elizabeth, poco prima di sposarsi, vengono condannati a morte per l’aiuto dato a Jack Sparrow. L’unico modo per salvarsi è trovare il loro amico pirata e farsi consegnare un oggetto molto importante. Sequel troppo lungo e decisamente banale: la magia del primo sembra essere scomparsa…

Condividi

fNelle scuole di sceneggiatura si parla spesso di setting (o anche di ‘semina’) per indicare il tempo che viene utilizzato per costruire le basi del racconto e poter poi procedere con la storia. Normalmente, il setting si esaurisce in 15-20 minuti, magari anche meno in caso di sequel (quando il pubblico conosce già i protagonisti). Ma cosa succede se tutto il film è un lunghissimo ed estenuante setting? Perché questa è proprio l’impressione che ho avuto con Pirati dei Caraibi 2, che sembra un’introduzione al terzo capitolo della serie, in uscita tra un anno.

Curiosamente, la pellicola parte in quarta, dando addirittura l’impressione allo spettatore di essersi perso qualcosa. I primi minuti funzionano bene e l’entrata in scena di Jack è fantastica. Ma, da lì, il film gira a vuoto e, ogni volta che sembra sul punto di premere sull’acceleratore, tutti si bloccano per fare una sosta.
Penso ovviamente ai 20 minuti persi nell’isola dei cannibali, in cui non mancano scene carine e momenti divertenti, ma che in fondo non servono assolutamente a nulla

Non solo alcune ‘tappe’ di sceneggiatura sono quindi superflue, ma anche le scene stesse (un po’ come capitava in King Kong) sono troppo autoindulgenti e poco montate, segno di un regista che può fare tutto quello che vuole e che si lascia andare.
E, come spesso succede in queste pellicole tanto attese, per arrivare alle cose veramente interessanti bisogna armarsi di tanta pazienza. In effetti, per vedere Davy Jones (un personaggio un po’ sprecato qui, ma che promette di fare faville nel terzo episodio) dobbiamo aspettare un’ora, mentre ci vuole anche di più perché ci venga mostrato Kraken in piena azione (in una scena comunque abbastanza deludente).

Nel frattempo, Pirati dei Caraibi 2 dimentica quello che erano i migliori blockbuster estivi degli anni settanta ed ottanta (divertenti e sorprendenti, proprio come l’originale) e si conforma alla ricetta attuale. Abbiamo fatto i soldi con il primo episodio? E allora, più scene d’azione costosissime e roboanti (ma, alla lunga, stancanti) e più personaggi (che ovviamente però impediscono di concentrarsi su quelli veramente importanti).

E poi, la mancanza di idee si vede anche per i continui rimandi (diciamo quasi ‘furti’) alle pellicole del passato. Se non fosse esistito Indiana Jones (e prima di lui lo Zio Paperone di Carl Barks) ci si potrebbe divertire con le persone che rotolano dentro una gabbia (idea peraltro che viene ripresa nel finale, ma con le pale di un mulino). Ma chiunque abbia visto un qualsiasi film di cappa e spada (per esempio il Robin Hood di Michael Curtiz, Il prigioniero di Zenda di John Cromwell, I tre moschettieri, che si tratti della versione di Gene Kelly o quella di Richard Lester, fate voi) e abbia più di otto anni faticherà molto a divertirsi.

E anche a livello estetico, è difficile non pensare al Signore degli Anelli in numerosi momenti (soprattutto quelli in cui appaiono le creature mostruose). Senza dimenticare la poco convincente idea di realizzare una scena che sembra Le Iene (meglio, City on Fire) in versione spadaccina. Addirittura, dopo due ore di pellicola, ci sono una serie di combattimenti interminabili senza senso, in cui ci si chiede se i personaggi siano in lotta tra loro per uno scopo reale o soltanto per far divertire (insomma…) lo spettatore.

Peccato, perché questo film aveva tutte le carte in regola per sfondare non solo al botteghino, ma anche a livello qualitativo. Per esempio, i realizzatori danno un ruolo più attivo ad Orlando Bloom e Keira Knightley, che continuano a non essere degli attori sconvolgenti, ma che sicuramente convincono di più che nel primo episodio.
E poi, Johnny Depp rimane una sicurezza, mostrando un talento comico che lo rende l’erede dei geni del muto. L’unico problema della sua interpretazione è che manca il senso di sorpresa del primo capitolo, ma qui ovviamente c’era poco da fare.
E poi, il lavoro in CGI è straordinario (tanto che è facile pensare che si tratti di make-up), soprattutto per quanto riguarda la ciurma di Davy Jones. Una candidatura agli Oscar in questa categoria è scontata, così come è molto probabile una nomination per le scenografie.

Insomma, la pellicola di Jerry Bruckheimer (vera anima del progetto) delude per molti aspetti, ma lascia delle speranze per il prossimo capitolo. Un po’ poco, per il campione d’incassi del 2006…

Continua a leggere su BadTaste