Piggy, la recensione
Quando l’horror è un mezzo per riflettere altro, ecco che il genere si eleva alla sua massima espressione. Ed è esattamente quello che fa Piggy di Carlota Cereda, un horror spagnolo che è esempio del miglior cinema medio, appassionato e consapevole.
La recensione di Piggy, dal 20 luglio al cinema
Come questa si relaziona ai suoi genitori, ai suoi pari, e soprattutto alle sue stesse insicurezze, è tutto già in nuce nella presentazione del personaggio e sarà esattamente il tema portante del film. Sara (Laura Galán) è un’adolescente chiusa ed insicura che vive nascosta dietro il bancone della macelleria di famiglia. Vestita di rosa e circondata da frattaglie, Sara per il suo peso viene chiamata ‘cerdita’ (porco) da tre ragazze del paese, tra cui la sua ex amica Claudia.
La regista e sceneggiatrice Carlota Pereda è visibilmente presa fino al midollo dal suo soggetto. Il film viene da un cortometraggio omonimo, e Pereda sa infatti esattamente come e quando valorizzare ogni svolta, come tirare fuori il non detto dalla protagonista con poche parole e tantissima messa in scena (ancora, lo ricordiamo: il cinema di genere al suo meglio). Giocato sulle aspettative e raccontato per molti dettagli (un braccialetto, una merendina, un telo da mare) e i due occhi profondi di Laura Galán, Piggy altera pure il ritmo con cambi di tono, sfiorando anche la comicità. Il tutto è, in fondo, una rilocazione geografica della "tranquilla cittadina americana” che viene scossa dal terrore, con l’irrazionale che viene da fuori - proprio come negli slasher - e mette in discussione l’ordine sociale e le apparenze.
Piggy è una storia carismatica di potenziale vendetta. Tra il carattere forte e autoritario della madre, la pressione sociale di un ambiente ristretto e la paura di dire il vero (ciò che Sara ha visto, come si sente), il film tende per la protagonista trappole da ogni parte, mettendola nella condizione di poterci sorprendere qualunque cosa faccia. Il villain è abbozzato, ma è giusto così: l’uomo misterioso, senza passato o identità, la personificazione del caos che ha dentro Sara. Un’apparizione quasi metafisica che racconta quanto il suo desiderio possa essere al contempo una liberazione dal punto di vista morale che una condanna dal punto di vista emotivo.
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