Pig, la recensione

Puro weird cinema che diventa tutt'altro con un'incoerenza che finisce per pagare. Pig è in fondo molto sempliciotto al netto della sua premessa

Critico e giornalista cinematografico


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Pig
Pig, la recensione

È Nicolas Cage che trasforma in weird cinema tutti i film che interpreta o sono i film del weird cinema che fanno carte false per avere l’attore che meglio di tutti li rappresenta?
Pig è esattamente questo, un film che avrebbe funzionato la metà con qualsiasi altro attore al posto di Cage, perché nessun altro porta su di sé quel tipo credibilità anche di fronte a qualsiasi ribaltone delle premesse.
In Pig è un ex cuoco ritiratosi nei boschi con un maiale da tartufo e che sopravvive vendendo i suddetti tartufi. Il giorno che qualcuno irrompe nella sua baracca e gli rapisce il maiale è costretto ad uscire dall’autoesilio e tornare alla civiltà per trovare il suo maiale.

L’attacco di un revenge movie paradossale, in cui nel posto dove solitamente ci sono le figlie ci sta un maiale, si scioglie molto lentamente in un film sulla conciliazione. Tutte le aspettative sono progressivamente tradite e l’attesa di azione è sostituita dalla presenza di dialoghi e di una strana forma di purificazione dall’assenza. Alla fine scopriremo l’essenza vera del metaforone sull’elaborazione della perdita ma, come si dice in questi casi, è il viaggio a contare. Un viaggio controcorrente, in cui un Nicolas Cage sempre più livido passa attraverso un mondo di cuochi stile John Wick, rifiutando qualsiasi violenza, ma non di meno è il più determinato di tutti a raggiungere il suo obiettivo.
La scommessa del film è di non dare al pubblico l’azione che si aspetta e sostituirla con qualcosa che gli andrà bene lo stesso. O almeno così spera.

Non ci sono dubbi infatti che Michael Sarnoski (esordiente che dirige e scrive con l’altra esordiente Vanessa Block) punti tantissimo sullo spunto strano del rapimento del maiale e poi imbastisca il mondo sotterraneo dei combattimenti illegali tra cuochi, solo per creare un’atmosfera paradossale. Questo però finisce solo per creare incoerenze. Alla fine nulla avrà un vero senso di fronte alla chiusa molto intima. E così la storia di una persona che predica autenticità in un mondo comandato da pretenziosità, viene raccontata in un film che fa l’opposto, che è falso e modaiolo e che nel finale prova a conquistare puntando sul riflesso pavloviano (nel pubblico) di fronte ad interpretazioni intense, sommesse e sofferenti dei suoi attori. L’imitazione di un momento importante.

Quanto di peggio l’impresa di un uomo che rivuole il suo maiale e per questo contagia tutti ad una visione di mondo più sentimentale è condotta con il cibo e la cucina come mezzo di comunicazione (non proprio qualcosa di originalissimo come invece il film vorrebbe essere) e i piatti come strumento di connessione umana. Eppure Pig non vuole far godere il pubblico, non vuole farlo mangiare con gli occhi e il cibo glielo nasconde. Accenna a qualcosa e gli preferisce la sua evocazione piuttosto che la visione. Vero coito interrotto, anche più della mancanza di azione.

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