Piccolo corpo, la recensione | Cannes 74

Il nostro The Witch (senza horror), Piccolo corpo è un film che spoglia il cinema fantastico del barocco e lo ancora a terra, al cattolicesimo

Critico e giornalista cinematografico


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Piccolo corpo, la recensione | Cannes74

Un film fantastico in Italia non si può fare, almeno oggi. Nessuno lo produrrebbe seriamente e forse (chissà) nessuno lo andrebbe a vedere. Invece non è particolarmente complicato farsi produrre un film di pastori sui monti nel primo novecento con una donna protagonista e la morale cattolica ad incombere su tutti. Così per poter fare il primo lo si maschera da secondo.

Piccolo corpo è a tutti gli effetti il nostro The Witch (al netto del fatto che non è un horror), cioè un film che spoglia il fantastico di una messa in scena barocca e lo àncora a terra, lo aggancia ad un realismo che trova l’immaginazione sfrenata e l’evocazione fantastica nei veri paesaggi, nei falsi colori (della color correction) e nelle immagini che trasformano il reale in mitologico.

La trama potrebbe tranquillamente essere quella di un capitolo di God Of War, di un romanzo fantasy o di un mito ancestrale: una donna parte da sola per un viaggio impossibile in ambienti ostilissimi, l’obiettivo è di portare il suo bambino nato morto (chiuso in una scatola!), là dove si dice che una donna lo possa risvegliare per un solo respiro, così da battezzarlo e salvarlo per l’eternità dal Limbo. È un luogo, quello da raggiungere, da cui si dice che nessuno sia mai tornato indietro e per arrivare al quale si dovrà anche attraversare un lago ghiacciato tra i monti su un’imbarcazione che pare quella di Caronte.

Non è difficile riconoscere il genere di avventura disperata a confronto con forze recondite, misteriose e onnipotenti dei manga, e invece la storia esce dritta dal ‘900 italiano, dalla mitologia cattolica che nei luoghi più isolati del paese si fonde clandestinamente con superstizioni e magia, come se fossero la stessa cosa e appartenessero alla medesimo insieme di forze sovrannaturali.

Come se non bastasse a rinforzare i paralleli c’è il fatto che la protagonista incontra un compagno per strada (Lince), uno sbandato che si aggrega e compie questo viaggio verso la loro Mordor (dove salvare invece che combattere) come aiutante.

Il risultato è un film che parla la lingua del cinema d’autore italiano ma ha lo svolgimento e i paesaggi evocativi di Willow, un viaggio alla ricerca di un miracolo impossibile, ai confini del mondo conosciuto che si chiude in un modo pazzesco, degno del proprio spunto.

Ancora di più Piccolo corpo è un’avventura durissima con il ritmo del cinema da festival che avviene nel contesto più aspro possibile, un luogo e un tempo in cui gli esseri umani sono spietati e le passioni non sono mai espresse a parole o chiaramente ma sempre tramite le azioni e in silenzio. Che è una dinamica perfetta per esaltare il cinema, cioè lasciare che il pubblico capisca cosa i personaggi provino non dalle battute ma guardando cosa fanno e come lo fanno, le loro scelte e la loro tenacia.

Il cinema di genere d’autore americano, quello che usa il fantastico per raccontare il reale è sbarcato anche in Italia.

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