Piccoli Brividi, la recensione
Tratto dall'omonima serie di libri, Piccoli Brividi è un film per ragazzi scritto, diretto e interpretato con più intelligenza di molti di quelli per adulti
Da diversi anni Hollywood cerca di portare in film il successo della serie di libri omonima di R. L. Stine (tutti centrati su ragazzi, storie di paure e crescita), ad un certo punto arrivando a coinvolgere anche Tim Burton. Invece che adattare uno dei molti libri però la scelta è andata verso la complessità, il film infatti ha una storia originale con lo stesso scrittore come coprotagonista. La trama racconta di un ragazzo (ovviamente) che scopre che il suo nuovo vicino di casa è il famoso scrittore R. L. Stine, il quale ha scritto tutti i suoi libri di paura con una macchina da scrivere che rende vero ciò che viene battuto. Per questo motivo ha intrappolato ogni singola creatura da lui raccontata in libri dotati di lucchetto. Ovviamente questi libri saranno aperti e i tutti i mostri della serie Piccoli brividi liberati in giro per la cittadina durante una lunga notte da incubo. I protagonisti dovranno capire come rimetterli al loro posto.
Su un simile impianto il film di Rob Letterman scorre con il piacere del cinema semplice dalle aspirazioni classiche. Se nella storia non c’è niente che non sia prevedibile, se non il twist tipico della serie Piccoli brividi (cosa che diventa quasi una gag nella gag durante il film), altro si può dire della forma. La fusione tra realtà e fantasia è portata avanti non solo con un gran lavoro in CG (i molti mostri) ma anche con una color correction e un ritocco alle immagini che posiziona gli eventi in un mondo che è il nostro solo fino ad un certo punto.