Piccoli Brividi, la recensione della seconda metà della prima stagione
Piccoli Brividi scivola sugli ultimi due episodi dello show, ma rimane una serie interessante e con diversi punti di forza
Quando Robert Lawrence Stine decise di dare vita alla serie di libri Piccoli Brividi, un sacco di ragazzi provenienti da tutto il mondo compresero il potenziale del genere horror. Un genere che agisce direttamente sul corpo di chi fruisce l’opera, facendo salire l’ansia e spingendo il cervello a produrre più adrenalina e cortisolo. La paura, infatti, ci spinge a capire se il pericolo che abbiamo di fronte sia reale o meno, preparando il nostro organismo a reagire di conseguenza. La realizzazione che questo pericolo proviene da un'opera di immaginazione, permette quindi il rilascio di endorfine e dopamina, suscitando benessere nel lettore/giocatore/spettatore. Insomma: grazie a Piccoli Brividi, negli anni Novanta molti ragazzi hanno scoperto che l’horror fa stare bene.
ALLA RICERCA DI UNA CONCLUSIONE
Dopo un inizio ben costruito e capace di dare valore a ognuno dei vari protagonisti dello show, a partire dal sesto episodio subentra prepotentemente la trama orizzontale che ci ha accompagnati sino al gran finale. Ecco che quindi viene presentato il personaggio di Slappy, burattino tanto caro ai fan di Piccoli Brividi. La sua storyline si fonde perfettamente con quella di Harold Biddle, plagiato in passato proprio dalla folle marionetta e deciso a riportarla in vita per permetterle di raggiungere i suoi misteriosi obiettivi. E questo, sino all’ottavo episodio, funziona alla perfezione. La trama continua sulla scia di quanto già visto, regalando qualche piccolo colpo di scena, ma soprattutto costruendo dei rapporti tra i personaggi davvero solidi e convincenti. Peccato, però, che l’ottava puntata sembri mettere la parola fine sulla storia. Una fine anche mediamente soddisfacente, che avrebbe permesso alla stagione di chiudere in bellezza.
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Non abbiamo idea di cosa sia successo durante la produzione, ma la sensazione è quella che il dittico di puntate finale sia stata una seconda stagione dello show compressa in meno di 80 minuti. Siamo di fronte a una vera e propria ripartenza, che riporta in scena il villain, evolvendolo in maniera inaspettata, e mutando troppo rapidamente la psicologia di alcuni personaggi. Relazioni costruite con fatica vengono rapidamente demolite e alcuni comprimari si comportano in un modo completamente sconclusionato, come se non avessero vissuto i tragici avvenimenti della “prima parte” dello show. Il tutto porta a un’eccessiva ridondanza di alcuni colpi di scena, lasciando persino aperto il vero finale. Un disastro su tutta la linea, che si salva solo per quanto costruito in precedenza.
PICCOLI BRIVIDI, GRANDE CAST
Uno dei punti di forza dello show, come già accennato, è proprio il cast chiamato a interpretare i vari protagonisti. L’ottima costruzione della prima parte della stagione, infatti, ha permesso agli spettatori di empatizzare con ognuno di essi, arrivando a voler seguire la serie anche solo per scoprire come possano evolversi i vari rapporti sentimentali ed emotivi di questo piccolo gruppo di amici. Un risultato possibile anche grazie alla bravura del cast, tra i quali spicca sicuramente James Etten, interpretato da Miles McKenna e Lucas Parker, portato in scena da Will Price.
A questi si aggiunge senza dubbio il professor Nathan Bratt, un personaggio che ha permesso a Justin Long di divertirsi con espressioni inquietanti, alternate ad altre di totale smarrimento. Un plauso finale a Chris Geere, attore inglese interprete di un personaggio che non vogliamo rivelarvi e che nonostante una scrittura altalenante ha saputo veramente conquistarci anche solo con poche scene.
https://www.youtube.com/watch?v=uyIJ0kNlp2ELa prima stagione di Piccoli Brividi scivola purtroppo sugli ultimi due episodi dello show, dando vita a quello che sembra più un’avventura estiva o l’incipit di una seconda stagione, più che un vero e proprio finale. Nonostante ciò, la serie merita di essere vista e, soprattutto, merita una seconda stagione. Rob Letterman e Nicholas Stoller hanno preso alcuni elementi dai romanzi di Stine, per fonderli insieme e modellarli in qualcosa di nuovo. Una vera e propria rivisitazione in chiave moderna di una collana classica degli anni Novanta. Se avete voglia di un po’ di sano horror a basso tasso di ansia, Piccoli Brividi è probabilmente la serie che state cercando. Datele una possibilità, perché potreste rimanerne piacevolmente sorpresi.
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