Piano piano, la recensione

Nei vicoli di Napoli il suono di un pianoforte è per una madre una speranza di cambiamento e per una figlia il segno di una vita da cambiare

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Piano piano, presentato in Piazza Grande a Locarno 75

Camorra, vicoli, pallone, Maradona, pianoforte, una giovane ragazzina, una madre in difficoltà, malelingue e poi l’affetto. Il filtro di Piano piano è chiaramente il ricordo. Sia che si tratti di un ricordo reale di qualcuno o di un ricordo immaginario, cioè di una storia inventata che è narrata attraverso gli stilemi del ricordo al cinema, tutto il film non è vissuto o guardato da dentro, dal quel 1987 in cui avvengono gli eventi, ma pare essere guardato dall’oggi, dalla tenerezza, dalla nostalgia e dal senno di poi che getta un velo di giudizio, temperanza o anche solo benevola accettazione su eventi che altrimenti, in un altro film o con un altro tono, potevano risultare ben più devastanti.

È una storia di quartiere, di molte vite e di quella di Anna, che suona il pianoforte, cosa che secondo la madre sarà uno strumento di riscatto, ma che a lei non è che piaccia moltissimo come del resto non le piace molto la vita che fa e che vorrebbe cambiare. Riuscirà Maradona, le cui imprese contrappuntano il film, a farlo per il Napoli calcio e per estensione per Napoli città, e forse riuscirà a farlo anche lei. Non riuscirà a cambiare granchè invece Nicola Prosatore per Piano piano, che indugia continuamente nell’immaginario napoletano fissato da altri film, nel cinema di Napoli più che in Napoli per davvero, e senza fare di questo filtro cinematografico (che pure poteva essere interessante) una chiave di lettura.

Napoli è la città italiana più raccontata degli ultimi 15 anni di cinema e particolarmente lo è la Napoli di vicoli e quartieri bassi. Serve tantissimo lavoro per farsi notare, per non ripetere, per non riproporre quell’immaginario con poche se non alcuna variazione. La storia di Anna e delle persone che la circondano è indecisa tra l’astrazione del cinema d’autore e il romanzetto popolare a cui poteva pure appartenere viste le piccole svolte, scoperte e ribaltamenti. Ma Piano piano desidera troppo essere cinema elevato per poter trovare quest’elevazione nella materia più bassa, nell’attenzione alla storia, alle sue delicatezze e nell’intreccio. Preferisce cercare di dare forma a momenti più sincretici, in cui l’unione di audio, video e racconto possano creare una dimensione narrative così larga da abbracciare più significati insieme. Ma di nuovo da questo punto di vista il film è poverissimo, vittima di aspirazioni che non raggiunge e incapace di trovare nel cinema di Napoli la forza dei film migliori, e rimanendo invece con in mano la piattezza dei più generici.

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