Philip K. Dick's Electric Dreams "Kill All Others": la recensione
Vera Farmiga e Mel Rodriguez sono i protagonisti di questo episodio di Philip K. Dick's Electric Dreams
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Kill All Others è l'episodio capace di riscattare una stagione intera. E Philip K. Dick's Electric Dreams, che nei suoi episodi precedenti aveva vissuto di alti e bassi, ne aveva indubbiamente bisogno. Si tratta di una puntata affine a Black Mirror – che rimane il punto di riferimento principale, inutile ignorarlo – nel suo nucleo più profondo. C'è un interessante incrocio tra comunicazione mediale e critica sociale, il tutto affondato in una distopia dai riflessi fin troppo riconoscibili. L'uomo solo, il diverso perché consapevole, o consapevole perché diverso, che si scontra con l'apparato sociale e statale, come da sempre nei classici del genere. La sua ricerca di libertà diventa un grido, forse inascoltato, ma solo perché è destinato ad altre orecchie, le nostre.
Il velo della propaganda che cela una persuasione strisciante, diremmo proprio totalitaria, è un classico. Nulla in questo episodio, tratto dal racconto The Hanging Stranger, è davvero sorprendente o nuovo. In modo più approfondito allora potremmo dire che la puntata diretta da Dee Rees funziona perché contiene alcune delle soluzioni visive più d'impatto viste finora. La grande scritta Kill All Others che campeggia su un grande manifesto, e Phibert ad urlare la verità proprio in un momento in cui questa dovrebbe essere palese per tutti, sono immagini di un certo impatto, così come il finale. Kill All Others, come idea di base, è poi figlio di quell'Obey che si rivelava per quello che era in una scena indimenticabile di Essi Vivono di Carpenter.