Philip K. Dick's Electric Dreams 1x08 "Autofac": la recensione

Episodio dagli echi cyberpunk per Philip K. Dick's Electric Dreams: una puntata ambientata in un mondo post-apocalittico

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Spoiler Alert
L'episodio è il secondo della stagione su Amazon Video. 

Echi di cyberpunk nell'episodio Autofac di Philip K. Dick's Electric Dreams. Pur inserita in una cornice post-apocalittica, la puntata infatti gioca su un scontro particolare tra residui di una megacorporazione e umani sopravvissuti, ribelli per necessità. È un'intuizione interessante, che la scrittura persegue giocando al rialzo e concedendosi alcune svolte inaspettate lungo la strada. E malgrado l'intero episodio, lo scopriremo alla fine, si conservi un paio di rivelazioni inattese disseminando indizi lungo la strada – ma si tratta più di momenti ai quali manca la giusta chiave di lettura – qui la storia vince grazie ad una protagonista forte, interpretata molto bene da Juno Temple.

Ci troviamo dunque in un futuro post-apocalittico nel quale una gigantesca corporazione, la Autofac, continua a vomitare generi di ogni tipo. L'ammasso indutriale, parto di un capitalismo sfrenato ed ossessivo, giustifica se stesso, rilanciando su un mercato che non esiste più generi inutili. Quindi gli effetti prima delle cause, le soluzioni prima delle necessità, l'esigenza di produrre prima ancora degli uomini stessi. E l'incapacità, in questo mondo grigio e oscuro, di costruire nuove prospettive e nuovi bisogni che non siano quelli prefabbricati. Tutto ciò ha un senso a livello figurato, ma la scrittura inserisce tutte queste considerazioni in una cornice da fine del mondo, in cui letteralmente i protagonisti non possono respirare e decidere per il loro futuro.

Zabriskie, questo il nome molto bello della protagonista, ha la possibilità di ribaltare tutto questo nel momento in cui si trova l'idea per inserirsi nel sistema. Un robot (interpretato da Janelle Monae) viene attirato sul posto, e lì in poi viene messo a punto ed eseguito un piano. Almeno fino ad un doppio ribaltamento finale sul quale tuttavia non ci pronunciamo. Come spesso avviene in Philip K. Dick's Electric Dreams, il gusto per la metafora supera tutti gli altri sapori. E c'è indubbiamente molto simbolismo in una storia che cela fino agli ultimi cinque minuti ciò che davvero sta accadendo, lavorando sulle sfumature di un mondo così lontano, eppure così riconoscibile.

Per certi versi, si potrebbe dire che questa è la versione ben riuscita di Metalhead. Dove l'episodio di Black Mirror non riusciva a sfruttare la cornice post-apocalittica, finendo soverchiato da questa e tirando fuori un blando survival thriller, Autofac eleva la propria ambientazione, raccontando un futuro che è radicato nel presente. Lo fa celando indizi, disseminando domande, mezze parole, oggetti nascosti in fretta. Tutto per arrivare a stabilire un punto che, nessuna sorpresa, è quello che viene ribadito dalla premessa stessa dell'episodio. C'è questa deriva ipermeccanizzata, frenetica, disumanizzante nel senso più profondo del termine, in cui l'istinto di generare bisogni – attenzione, non di rispondere a questi – è più forte di qualunque limite ambientale.

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