Giunto al terzo episodio della stagione,
Philip K. Dick's Electric Dreams rimane una serie che si appoggia ai racconti originali quel tanto che basta per creare un contesto particolare. Fatto ciò, imbastisce un intreccio che tradisce in parte la fonte per giocare sull'emotività e sul sentimento.
The Commuter non fa eccezione. Il racconto originale dell'autore parlava della persistenza o della perdita della memoria a livello collettivo, e lo faceva con una lucidità e una lungimiranza straordinarie. Qui invece la chiave della storia viene modificata, e si va a parlare della
necessità di affrontare il dolore e le sfide della vita anziché cedere a facili fughe dell'immaginazione.
Il protagonista è Ed (Timothy Spall), impiegato in una stazione ferroviaria. Vita semplice, poche pretese, un figlio molto problematico. Un'alternativa al grigiore quotidiano giunge inaspettata e incomprensibile nel momento in cui l'uomo, tramite un primo contatto con una donna di nome Linda (Tuppence Middleton), arriva nella città segreta di Macon Heights. Si tratta di un luogo perfetto, anime semplici e sorridenti, bambini che giocano tra i prati, coppie che si tengono per mano. Un luogo che non guarda né al passato né al futuro, ma esiste in un eterno presente privo di conseguenze e nel quale poter tendere alla serenità dell'animo. Esiste un prezzo da pagare? Ma soprattutto, è davvero questo che l'uomo vuole?
Di non-luogo in non-luogo, la stazione ferroviaria rappresenta il ponte ideale per fuggire verso l'utopica Macon Heights. La città sorge dalla nebbia come se nascesse naturalmente per rispondere ai desideri di quanti soffrono nel privato e chiedono un'alternativa, pur se falsa. In tutto questo si avverte fortissima l'influenza di
Ai Confini della Realtà, e in particolare dell'episodio classico
A Stop at Willoughby, nel quale proprio un professionista insoddisfatto giungeva in treno nel luogo dei suoi sogni. Ma non solo, perché la ripetizione ossessiva di certi schemi, di certi incontri, di certi dialoghi, ci potrà far venire in mente alcuni momenti di
The Truman Show. Non a caso, proprio il film di Peter Weir era stato molto influenzato da un altro romanzo di Philip K. Dick, intitolato
Tempo fuor di sesto.
Visivamente l'episodio diretto da Tom Harper e scritto da Jack Thorne gioca molto sulla contrapposizione tra il mondo reale e quello illusorio. La vita di Ed è grigia, si svolge tra le anguste mura di casa o il cubicolo del lavoro. Macon Heights è un posto solare, in cui i bambini si rincorrono tra i prati verdi, in cui gli estranei si abbracciano per strada, in cui esistono piazze luminose e cieli azzurri. Eppure non è reale, ed è su questo conflitto che si fonda l'intreccio. O almeno la parte finale di questo.
Come nelle precedenti puntate, c'è il desiderio di costruire un certo impatto emotivo e di dare uno sguardo ravvicinato su una vicenda che per altri canali poteva essere trattata in modo più ampio. L'interpretazione di Spall e, per contrasto, anche quella della Middleton sono ottime, e riescono a veicolare ora tramite un grande trasporto ora tramite un distacco calcolato, i due punti di vista in gioco. Forse si poteva fare di più da questo punto di vista, giocando più sul dubbio e sull'incertezza. Ciò che è interessante allora è la prospettiva genitoriale, il fatto di aver costruito qualcosa di vero – problemi di rabbia del figlio – intorno a cui generare i dubbi di Ed, anziché basarsi su una vaga insoddisfazione.