Phantom Stalker Woman, la recensione

Phantom Stalker Woman è un racconto disturbante e dalle atmosfere angoscianti, sempre in bilico tra il thriller e l'horror vero e proprio

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Phantom Stalker Woman, anteprima 01

Zashiki Onna, di Minetaro Mochizuki, vede le stampe per la prima volta nel 1993, serializzato da Kodansha sulla propria rivista Young Magazine. Viene quindi raccolto in un unico tankobon, che Star Comics pubblica in Italia dieci anni dopo come Phantom Stalker Woman – Incubo metropolitano.

Lo scorso 23 dicembre la casa editrice perugina ha riproposto l’opera in oggetto all’interno dell’elegante collana Umami, dedicata ad alcuni dei più grandi interpreti della narrativa giapponese a fumetti.

La scelta di utilizzare solo la parte inglese del titolo per questa nuova edizione di Zashiki Onna risulta decisamente azzeccata per l’attualità del tema centrale della storia, che vede una misteriosa e inquietante donna perseguitare senza sosta il povero Hiroshi Mori, sconvolgendone la vita.

Mochizuki prende spunto per il suo soggetto da una nota figura del folclore nipponico, la kuchisake-onna, una donna terrificante, con una bocca enorme che (come suggerisce il nome) va da orecchio a orecchio sembrando un’orrenda spaccatura. L’autore attenua i tratti tipici di tale mostro non solo nelle fattezze ma anche nelle intenzioni, che nella versione più truculenta della tradizione divora addirittura le proprie vittime.

La co-protagonista del manga è una figura femminile esile, di alta statura e dall’aspetto assai trasandato, che dimostra tuttavia un’agilità, una corsa e una resistenza quasi sovrumane. Hiroshi, giovane studente universitario, vi si imbatte per puro caso e da quel momento la donna si trasforma nella sua psicopatica aguzzina, arrivando a minacciarne le amicizie e gli affetti più cari.

"Un racconto disturbante e dalle atmosfere angoscianti, sempre in bilico tra il thriller e l'horror vero e proprio."Phantom Stalker Woman è un racconto disturbante e dalle atmosfere angoscianti, sempre in bilico tra il thriller e l'horror vero e proprio. È emblematico di un momento particolarmente difficile del Giappone: l’inizio degli anni 90 del secolo scorso. È un periodo segnato da una profonda crisi economica che manda in frantumi ogni sicurezza di un popolo abituato a un diffuso ed elevato tenore di vita, a un tasso di criminalità esiguo, a una stabile armonia sociale e familiare.

Questa fragilità si riflette inevitabilmente nell’opera di Mochizuki, che non è la sola a intercettare questo malessere: del 1995 è il film più noto del regista Makoto Shinozaki, Okaeri (Welcome Home, 1995), che descrive la schizofrenia di una giovane donna, apparentemente equilibrata, che distrugge il proprio stabile rapporto di copia; due anni dopo è il manga Lovesick Dead (Hikari, 1997), del sensei Junji Ito, che incarna la disillusione e la paura nei confronti dell’amore e del futuro.

Possiamo, dunque, definire senza dubbio alcuno Phantom Stalker Woman come un classico, che presenta una freschezza espressiva notevole, nella regia e nel tratto. Riconosciamo in quest’ultimo il preludio del segno specificatamente cupo che esploderà in tutta la sua potenza nell’opera più nota di Mochizuki, Dragon Head (1995, Panini Comics), e diametralmente opposto alla luminosità e all’armonia di Chiisakobe (2012, J-POP), suo capolavoro stilistico.

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