Phantom Boy, la recensione

Perdente sia come interpreta il proprio genere, sia per come si rapporta agli altri film, Phantom Boy non riesce mai a centrare quel che vorrebbe raccontare

Critico e giornalista cinematografico


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Ci sono dei paralleli quasi inquietanti tra Il Ragazzo Invisibile di Salvatores (uscito nel 2014) e questo film d’animazione francese (uscito nel 2015, ma la cui lavorazione è stata di certo più lunga del film italiano), in entrambi un bambino scopre di avere dei poteri che lo nascondono alla maggior parte delle persone e in entrambi li userà per aiutare la polizia a sconfiggere una minaccia esterna. In entrambi poi c’è un finalone ambientato al porto, nel metallo delle navi ormeggiate.
Per il resto però quello di Jean-Loup Felicioli e Alain Gagnol però è un film abbastanza differente, una specie di grande allegoria delle difficoltà superate con la fantasia. Al centro c’è infatti un bambino che, sottoposto alla chemioterapia, scopre di avere il potere di diventare spettro e in questo modo volare non visto da nessuno, arrivare là dove gli altri non possono. Metterà a frutto questo “potere” per aiutare un poliziotto (anche lui fermo in ospedale dalla rottura di una gamba) e una giornalista contro un pericoloso criminale.

Ci sono molte componenti strane in Phantom Boy, a partire dall’ambientazione newyorkese che cozza sia con lo stile dei disegni che con proprio la maniera in cui è disegnata la città (tutto sembra tranne New York), per finire con un tono tra il noir e il poliziesco più blandi, contaminati dal cinema per ragazzi all’europea. Tutto ha il ritmo e l’incalzante eccitazione dei cartoni francesi d’autore. Cioè nessuno. Phantom Boy è il tipico esempio di cinema per ragazzi per adulti, cioè quei film che gli adulti amano pensare che piacciano ai ragazzi. Tutto in quest’opera (ma come del resto già in Un Gatto A Parigi, il film precedente del duo) è lontano dall’immaginario infantile e vicino a quello maturo, in un cortocircuito che non ha niente di virtuoso e tanto di borioso.

A partire dal disegno, astratto e lontanissimo sia dalla verosimiglianza, sia dall’espressività (i tratti somatici dei personaggi sono quasi sempre uguali a prescindere da ciò che accada), per finire con i dialoghi, Phantom Boy ammicca solo agli adulti, non ha due livelli di lettura, ma uno solo. Come un libro di favolette parla una lingua per minori di 6 anni ma con contenuti che questi non potrebbero capire. Incastrato in un limbo tutto suo (stranamente remunerativo visto il numero di film simili prodotti), Phantom Boy anche giudicato all’interno della sua categoria è un film estremamente convenzionale. La meraviglia più grossa che l’animazione ha a disposizione, cioè la capacità di generare qualsiasi dettaglio della messa in scena da zero, è totalmente svalutata e anche il design generale è dei meno significativi si possano immaginare, oltre che dei più stonati possibili con le velleità noir esibite.

Non c’è bisogno di dire che quel tipo di poliziesco cui Phantom Boy vorrebbe ammiccare non ha senso in un film per bambini (il cuore di quel genere e quei toni è proprio ciò che non è raccontabile a quel pubblico), ma si può invece dire che anche le componenti più standard (l’eroismo, la rivincita personale, il grande showdown finale, il rischio di morte) sono affrontate con così poca conoscenza dei loro meccanismi, di dove risieda il loro fascino, da fallire regolarmente l’appuntamento con ciò che dovrebbero suscitare.

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