Persuasione, la recensione
Persuasione sembra un film-algoritmo, senza ispirazione, creato prendendo qua e là dei trend senza alcuna voglia di usarli realmente
La recensione di Persuasione, su Netflix dal 15 luglio
Mero riempitivo da catalogo, per quanto non si tratti di un brutto film Persuasione sembra più che altro un film-algoritmo, senza ispirazione, creato prendendo qua e là dei trend senza alcuna voglia di usarli realmente, dimenticato e dimenticabile non appena cominciano a scorrere i titoli di coda.
Lo spirito di Persuasione rimane insomma decisamente fedele a quello romanzesco, e per quanto il film suggerisca qua e là lungo i dialoghi blandi tentativi di modernizzazione del suo soggetto (l’autodeterminazione della donna, l’idea del matrimonio come un contratto che non si è costretti ad accettare), in fin dei conti oltre all’aspetto dei personaggi non sembra cambiare molto dall’inizio dell’Ottocento (ciò che i personaggi fanno, sperano, le relazioni che tessono).
L’unico elemento interessante che riesce a spezzare la noiosa quiete di una storia sicuramente prevedibile - oltre a Dakota Johnson stessa, che riesce a regge una parte priva di spunti - è l’uso dell’autoconfessione della protagonista alla macchina da presa. Sebbene non sia un elemento in sé originale (non che lo debba essere per forza) questo stratagemma riesce almeno a variare il ritmo pesante e ripetitivo del film, alternando l’avanzamento normale della trama a momenti in cui l’attrice riflette su ciò che le accade. Per il resto, però, Persuasione è un film che urla disinteresse verso la sua stessa materia.
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