Person of Interest (quinta stagione): la recensione

Grande fantascienza, grandi temi, grandi personaggi: Person of Interest chiude la sua lunga corsa con un'ultima stagione intensa ed emozionante

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Spoiler Alert
Questo era il racconto dell'apocalisse cibernetica, e a tratti umana, del Terzo Millennio. Person of Interest ne ha anticipato temi e contorni e, dritto come una lama, ha reciso tutti i legami possibili nel momento in cui non ha avuto più niente da perdere. Una quinta stagione da tredici episodi, l'ultima per uno show fatto uscire nemmeno tanto delicatamente dalla porta dalla CBS, che ha affollato la programmazione di maggio e giugno del suo palinsesto trasmettendo anche più episodi alla settimana. I nostri eroi troppo umani, e la loro Macchina divina, ne sono usciti un po' malconci, ma in grado di tenere le redini della loro ultima grande avventura. L'ultimo atto della serie di Jonathan Nolan e J.J. Abrams tiene al centro i temi storici dello show: l'umanità e la compassione, la sicurezza e la libertà, i limiti della tecnologia e quelli dell'uomo.

Una delle più grandi intuizioni di Person of Interest è stata quella di ridurre temi universali ad una visione particolare, "irrilevante" se vogliamo, e di integrare il tutto nella trama stessa, facendone uno degli snodi ideologici principali. Tutto parte da qui, da un ragionamento terribilmente umano che contesta la più logica e fredda delle conclusioni: il bene universale vale sempre di più del bene del singolo. Per un occhialuto programmatore rimasto scosso, come tutti, dopo l'undici settembre, questo discorso ha iniziato a valere sempre meno. Un concetto che si è riversato a poco a poco nella sua creatura, la Macchina che, in contrapposizione al freddissimo Samaritan, riduce le persone a numeri solo per comodità, ma poi si fa in quattro per aiutarle.

La quinta stagione di Person of Interest ha portato al culmine questa umanizzazione del Dio-Macchina, fino alle sue estreme conseguenze. Una sempre eccezionale Amy Acker si è trovata infine a dover interpretare una coscienza artificiale che imita una personalità umana. Ma è davvero solo imitazione? Harold Finch, che in queste ultime puntate vedremo pronto a sporcarsi le mani, e Root ne hanno discusso spesso, senza arrivare a una risposta univoca. Si può tradurre un codice morale in numeri e pretendere che una macchina si adegui a quello? Non siamo in fondo tutti vittime di questo processo di apprendimento e imitazione verso chi è più grande di noi?

Samaritan sceglie un bambino per manifestarsi, la Macchina ha sempre vissuto un rapporto di genitorialità con il suo Creatore. Da questo creatore infine si emancipa, fino a ingannarlo in un momento sinceramente emozionante di un finale che regala tantissime emozioni. Ogni tanto la serie ricade nella struttura episodica delle prime stagioni, ma in generale questo è un arco narrativo che si prepara, e ci prepara, continuamente alla conclusione. E che nel suo percorso si permette anche alcune deviazioni eccezionali: quando a fine 2016 ci troveremo a fare il bilancio degli episodi migliori dell'anno, il meraviglioso 6,471 non potrà mancare.

In alcuni momenti la serie cede al fanservice, ci mostra futuri alternativi, potenziali spin-off, emozioni semplici. Ma è sempre se stessa. Con una spruzzata di Fringe, con cui condivide molto nell'evoluzione della struttura (da show episodico a una quinta stagione più breve e più orizzontale). Il riscatto non viene negato a nessuno dei protagonisti. Ognuno di loro, che aveva iniziato questa missione come una penitenza per i peccati commessi, il tentativo di trovare un senso nella propria vita (e il futuro alternativo di Fusco e Reese ce lo fa capire bene), avrà qualcosa da dire. Da puri strumenti operativi a qualcosa in più, infine numeri loro stessi, in bilico tra minaccia e vittima, quando sarà la Macchina stessa, finalmente emancipata, libera e adulta, a dover scegliere secondo un proprio codice morale.

Questo era Person of Interest. Piccola, grande fantascienza, serie sempre più matura del suo apprezzamento generale, temi profondi mai trattati con banalità, personaggi in grado di rimanere nel cuore. Anche quelli che un cuore umano non ce l'avevano.

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