Se Permetti Non Parlarmi di Bambini, la recensione
Sui presupposti più banali possibili Se Permetti Non Parlarmi di Bambini gira una commedia di gran ritmo e soprattutto gran trovate e grande intelligenza
Se Permetti Non Parlarmi di Bambini, che in questa categoria rientra pienamente, proprio per queste ragioni è un film sorprendente e da applaudire, perché nel sottogenere forse più odioso e ipocrita di tutti riesce a trovare idee e spunti fulminanti.
Lo spunto antisociale qui è il desiderio di non avere figli, l’odio profondo per i bambini della guida turistica interpretata da Maribel Verdù (volto e fisico perfetti, prelevata dal cinema spagnolo per questo film argentino), single incallita con una vaga voglia di calmarsi e trovare un compagno fisso. Ma figli neanche a parlarne nè tantomento altri bambini (e loro del resto piangono al solo vederla). Dall’altra parte il protagonista vero, Diego Peretti, è un padre divorziato talmente attaccato alla figlia da aver ottenuto l’affidamento totale, un uomo che non parla d’altro se non della figlia.
Ariel Winograd subito, già nelle prime scene d’incontro tra i due dimostra una capacità narrativa sopra la media, riuscendo a lavorare su un piccolo elemento di sceneggiatura: la sensazione di tradimento del padre. Attaccatissimo alla figlia è così stordito dall’amore (ma soprattutto dall’eccitazione sessuale) da essere pronto a mandare tutto a monte e non esita più di un minuto a mentire a questa donna antibambini di cui sì è follemente innamorato.
Dalla sua affermazione di non avere figli, scaturita con grande humor senza nessuna difficoltà, partirà l’intreccio di inganni e sotterfugi.
Sebbene il film andrà a parare dove il suo genere gli comanda, tutto lo svolgimento è animato da una serie di spinte e idee molto più audaci (e quindi più divertenti) della media. Perché invece che lentamente normalizzare il protagonista, il film lo mette di fronte al grottesco e alle conseguenze assurde della sua menzogna. Finirà per avere una storia con due donne, una delle quali è la figlia di 9 anni che avrà la gelosia delle mogli o delle fidanzate tradite, replicherà con una bambina schemi e battibecchi da coppia adulta. Ci sono momenti di puro imbarazzo di fronte ai paradossi cui l’esigenza di tenere una menzogna incredibile porta i protagonisti, e il modo in cui Winograd gioca sui princìpi di ogni personaggio e come siano poi disposti a sbarazzarsi in fretta di essi di fronte al colpo di fulmine (geniale la chiusa al benzinaio con il fratello Keko), esprime una personalità unica. Pure nel più commerciale e ipocrita dei generi esiste una maniera di fare buon cinema, intelligente e stratificato.
Ogni riferimento al cinema italiano è puramente casuale.