Se Permetti Non Parlarmi di Bambini, la recensione

Sui presupposti più banali possibili Se Permetti Non Parlarmi di Bambini gira una commedia di gran ritmo e soprattutto gran trovate e grande intelligenza

Critico e giornalista cinematografico


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La commedia della normalizzazione è quel sottogenere della commedia sentimentale in cui si parte da presupposti politicamente scorretti, da personaggi con comportamenti devianti rispetto al generale atteggiamento della propria società, esaltandone l’audacia, per poi lentamente convolare grazie all’amore verso la loro negazione, verso l’inquadramento dei personaggi in schemi, ruoli e atteggiamenti conformati. Sono quei film che nel trailer e nella cartellonistica si beano della diversità dalla massa mentre nel film lentamente la massacrano, riportando la pecorella smarrita all’ovile a furia di sentimento, dimostrando che le emozioni migliori non possono che abitare nell’assetto sociale che già viviamo.
Se Permetti Non Parlarmi di Bambini, che in questa categoria rientra pienamente, proprio per queste ragioni è un film sorprendente e da applaudire, perché nel sottogenere forse più odioso e ipocrita di tutti riesce a trovare idee e spunti fulminanti.

Lo spunto antisociale qui è il desiderio di non avere figli, l’odio profondo per i bambini della guida turistica interpretata da Maribel Verdù (volto e fisico perfetti, prelevata dal cinema spagnolo per questo film argentino), single incallita con una vaga voglia di calmarsi e trovare un compagno fisso. Ma figli neanche a parlarne nè tantomento altri bambini (e loro del resto piangono al solo vederla). Dall’altra parte il protagonista vero, Diego Peretti, è un padre divorziato talmente attaccato alla figlia da aver ottenuto l’affidamento totale, un uomo che non parla d’altro se non della figlia.
Ariel Winograd subito, già nelle prime scene d’incontro tra i due dimostra una capacità narrativa sopra la media, riuscendo a lavorare su un piccolo elemento di sceneggiatura: la sensazione di tradimento del padre. Attaccatissimo alla figlia è così stordito dall’amore (ma soprattutto dall’eccitazione sessuale) da essere pronto a mandare tutto a monte e non esita più di un minuto a mentire a questa donna antibambini di cui sì è follemente innamorato.
Dalla sua affermazione di non avere figli, scaturita con grande humor senza nessuna difficoltà, partirà l’intreccio di inganni e sotterfugi.

Sebbene il film andrà a parare dove il suo genere gli comanda, tutto lo svolgimento è animato da una serie di spinte e idee molto più audaci (e quindi più divertenti) della media. Perché invece che lentamente normalizzare il protagonista, il film lo mette di fronte al grottesco e alle conseguenze assurde della sua menzogna. Finirà per avere una storia con due donne, una delle quali è la figlia di 9 anni che avrà la gelosia delle mogli o delle fidanzate tradite, replicherà con una bambina schemi e battibecchi da coppia adulta. Ci sono momenti di puro imbarazzo di fronte ai paradossi cui l’esigenza di tenere una menzogna incredibile porta i protagonisti, e il modo in cui Winograd gioca sui princìpi di ogni personaggio e come siano poi disposti a sbarazzarsi in fretta di essi di fronte al colpo di fulmine (geniale la chiusa al benzinaio con il fratello Keko), esprime una personalità unica. Pure nel più commerciale e ipocrita dei generi esiste una maniera di fare buon cinema, intelligente e stratificato.
Ogni riferimento al cinema italiano è puramente casuale.

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