Perfetti Sconosciuti, la recensione

Paolo Genovese trova la quadratura del cerchio e in Perfetti Sconsociuti unisce il più classico gioco al massacro con un'impensabile leggerezza e amicizia

Critico e giornalista cinematografico


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Questa volta non ci sono le grandi location, i luoghi esotici o la Roma patinatissima dei film precedenti, questa volta il consueto grande cast che anima i film di Paolo Genovese si muove intorno a un tavolo, in uno spazio stretto in cui il confronto è verbale e non più fisico, fatto di corpi in cerca l’uno dell’altro, e il film ne guadagna.

Perfetti Sconosciuti è sicuramente l’opera più quadrata, compiuta e seria della carriera del regista di Immaturi. Nonostante non rinunci mai al tono più leggero e alla risata, questa volta Genovese riesce ad accompagnarla ad una scrittura molto più precisa, senza i soliti grumi risolti con sequenze ruffiane, ma scorrevole e soprattutto determinata.

La determinazione di Perfetti Sconosciuti sta nell’avere una chiara idea della direzione da prendere e del senso da dare ad ogni scontro o incontro verbale. Il solito buon cast di attori notoriamente bravi (da Giallini a Mastandrea, da Kasia Smutniak ad Alba Rohrwacher fino a Giuseppe Battiston, Edoardo Leo e Anna Foglietta) trova una sintonia perfetta e si massacra al tavolo con il sorriso sulle labbra, distrugge se stesso e gli amici tra una battuta e l’altra.

Infatti di questa lunga cena con eclissi lunare (tra tutte forse il “metaforone” più scontato e superfluo) ciò che colpisce di più è la capacità di unire il forte cameratismo di questo gruppo di amici di vecchia data con la cattiveria della psicologia della folla. Gli amici di sempre che sembrano sapersi trattare effettivamente da sconosciuti.

Con un finale forse troppo ingenuo e tirato via, specie considerata la lenta costruzione del resto del film, e un fantastico svelamento a metà (che avviene prima nella testa dello spettatore e poi in quella dei protagonisti), questa volta Paolo Genovese sembra davvero aver limitato il più possibile l’irresistibile desiderio di catturare lo spettatore nella maniera più diretta e scontata (che si ritrova solo nella chiusa) a favore di una trappola meglio ordita. Coinvolto nella grande cena, ammaliato e compiaciuto della maniera in cui questo grande cast di volti amabili del cinema italiano si rilancia le battute e si compiace della propria amicizia, anche chi guarda rimane progressivamente sempre più spiazzato dai mostri che partoriti dai segreti.

Perché in Perfetti Sconosciuti lo spunto iniziale (per gioco ognuno deve leggere i messaggi che riceve o rispondere al telefono in vivavoce) non è usato per svelare chissà quali oscurità o quali vite nascoste, è lo specchio per riflettere le reazioni degli altri. E proprio questo gioco di azione e reazione, riflessa nei volti e nella recitazione di ogni attore, appare come la parte più raffinata di questo lavoro di regia, la ricerca di un giudizio non in chi parla ma in chi, di volta in volta, ascolta.

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