Perfect Days, la recensione
In uno sforzo di mutazione cinematografica Perfect Days mescola il cinema giapponese con i gusti e lo sguardo di Wenders e crea un capolavoro
La recensione di Perfect Days, il film di Wim Wenders presentato in concorso a Cannes
Una buona parte del film è la ripetizione di queste giornate solitarie, fatte di sveglia, lavoro, un po’ di musica anni ‘70, pranzo e poi cena in chioschi locali, una passeggiata, foto agli alberi, un buon libro letto a casa e poi a dormire. Perfect Days sa trovare un milione di piccoli espedienti di vero cinema per mostrare la maniera in cui la semplicità riempia un’esistenza di piccoli piaceri, fino a ribaltare della solitudine. Non più una condanna dopo una vita di fallimento ma un traguardo. Il film sembra non iniziare mai davvero e lo fa magnificamente. È da subito un cinema umanissimo, fatto di osservazione quasi senza dialoghi, solo persone e posti guardati. Puro sguardo, dolce e personale, narrativo senza bisogno di una narrazione vera e propria. Contagioso senza nessuno sforzo apparente. I primi minuti di Wall-E estesi a metà di una storia che non inizia senza che il pubblico ne senta il bisogno ma che in realtà, lo capiremo, è già iniziata.
La cosa pazzesca di questo Perfect Days è quanto sia un film giapponese. Ispirato all’essenzialità di Ozu (il protagonista ha il nome del personaggio dell’ultimo film di Ozu), girato in un calzante 4:3, ma anche integrato nel suo contesto culturale, abbina la piccola precisione di questa città per ad una persona dall’essenza gentile e metodica, precisa e ordinata come il posto che lo contiene e che lui contribuisce a tenere pulito. Una concordanza essenziale di forma, contenuti, ambientazioni e personaggi da vero trasformista del cinema. E un finale di incredibile partecipazione giocato tutto sul volto di Koji Yakusho (che attore!), riesce quasi senza sforzo a restituire il senso ultimo della complessità del vivere, unendo l’amarezza alla passione, la tenacia alla speranza, il senso di perdita a quello opposto di fiducia nel domani. Qualcosa che le parole faticano ad esprimere ma quelle immagini hanno una facilità disarmante a esprimere.