Perché non l'hanno chiesto a Evans? - la recensione

Fresca, frizzante e perfettamente orchestrata, Perché non l'hanno chiesto a Evans? è un monumento al talento di Hugh Laurie (e non solo)

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La recensione della miniserie Perché non l'hanno chiesto a Evans?, disponibile su Sky e NOW dal 25 giugno

Che negli ultimi anni l'interesse per le opere di Agatha Christie si sia rinnovato grazie agli adattamenti cinematografici di Branagh è cosa nota e innegabile. Possiamo gioirne, possiamo dolercene o, osservando una creatura seriale come Perché non l'hanno chiesto a Evans?, rifarci gli occhi e il cuore. Di fronte alla miniserie di BritBox, infatti, tornano alla mente opere di altra e alta caratura; parliamo, soprattutto, della longeva serie su Poirot sorretta dal gigantesco David Suchet. A oggi, ben poche trasposizioni delle opere della Christie potevano infatti vantare quel sapiente mix di brio e tensione che i migliori episodi della sopracitata serie ci hanno saputo regalare.

Esultiamo, dunque, di fronte a Perché non l'hanno chiesto a Evans?, gioiellino in tre episodi che porta la firma, per regia e scrittura, di un luminoso faro dell'intrattenimento made in Britain. Al timone di questa saettante nave c'è infatti Hugh Laurie, in formissima nel guidare lo spettatore tra i flutti di un mistero che si dipana con la fresca fluidità di un ruscello di montagna. Un viaggio coadiuvato dalla presenza di due protagonisti dalla chimica impressionante, perfettamente calati nei panni dei detective improvvisati Bobby (Will Poulter) e Frankie (Lucy Boynton).

Molto più di una bella cartolina

L’accuratezza della cornice non deve trarci in inganno: il quadro che Laurie dipinge ha una sua vivida forza che va ben oltre il calligrafismo della sua meticolosa messa in scena. Astenendosi dalla tentazione di modernizzare a ogni costo snaturando l’opera di Christie (Branagh avrebbe di che imparare), Perché non l’hanno chiesto a Evans? restituisce allo spettatore il sapore di un’epoca senza, però, gravarlo del peso della polvere. Siamo lontani dai polpettoni in stile Downton Abbey; non c’è ridondanza sentimentale, né autocompiacimento estetico. Ne risulta un racconto asciutto e conciso, che avanza verso il suo finale con la rapida sicurezza di un’auto sportiva. Uno stile pregevole, senza dubbio, che però cede il passo a una certa frettolosità nel finale.

Va detto che già il testo originale non spicca, rispetto al resto della produzione dell'autrice britannica, per originalità nella risoluzione del mistero. Conscia dei limiti del giallo da cui è tratta, la serie preferisce quindi concentrarsi sul viaggio piuttosto che sulla destinazione; ne deriva una conclusione lievemente anti climatica, che in alcun modo però intacca la gradevolezza generale del racconto.

Apollo e Dioniso

Al di là della trama strettamente investigativa, Perché non l'hanno chiesto a Evans? ci racconta anche qualcos'altro. Nei carismatici protagonisti, il figlio del pastore Bobby e l'aristocratica Frankie, vediamo incarnati due diversi approcci all'indagine e, in linea generale, alla visione del mondo. Laurie ci tiene a rimarcare la differenza caratteriale dei due amici attraverso dettagli che vanno dalla gestualità al modo di camminare, costruendo paradigmi antitetici ma perfettamente complementari. Se da un lato abbiamo il ragionamento lineare e il rispetto delle regole di Bobby, dall'altro abbiamo la spregiudicatezza e il pensare fuori dagli schemi di Frankie.

Sarebbe semplicistico attribuire questa divergenza al sesso anagrafico; ciò che Laurie vuole dirci è molto più sottile. L'apollinea, limpida cautela di Bobby è figlia del suo status sociale, così come lo spirito ribelle di Frankie. Lungi da sciocchi anacronismi, la libertà d'azione della giovane nobile è garantita dalla sua posizione, e la tematica della disparità di classe serpeggia - seppur con umoristica leggerezza - per tutta la serie.

Tradizione e innovazione

Non dubitiamo che qualcuno, a un'occhiata superficiale, possa bollare Perché non l'hanno chiesto a Evans? come un prodotto "vecchio stile". È innegabile che i tre episodi non puntino a scardinare le fondamenta della narrazione tradizionale, né che la regia di Laurie aspiri a scrivere una nuova pagina dell'estetica filmica; non sconvolgono la tradizione, perché non hanno alcun bisogno di farlo. Semplicemente, si immettono in una luminosa scia d'antica tradizione, quella della grande letteratura poliziesca, celebrandola attraverso una scrittura brillante, un cast stellare, un tripudio di costumi e scenografie d'alta resa visiva. Se a questo aggiungiamo il respiro cinematografico garantito dagli stupendi paesaggi del Surrey e un buon numero di colpi di scena, capiamo perché la serie non necessitasse di sperimentazioni ardite.

Scevra dalla presunzione di stampo branaghiano, Perché non l'hanno chiesto a Evans? è il tenero omaggio di Laurie a un universo narrativo che non necessita di grandi stravolgimenti per innamorare ancora il suo pubblico. Con la cura di un giardiniere rispettoso, il poliedrico artista inglese si dedica a rinverdire piuttosto che a sradicare e ripiantare da zero. Il terreno preparato da Christie, sembra sussurrarci Laurie, ha già tutto ciò che serve per far germogliare nuovi fiori; e questa miniserie illumina, col suo fresco profumo, un giardino che speriamo offra presto al nostro sguardo nuove gemme.

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