Per tutta la vita, la recensione
Un prete ha officiato per anni matrimoni nulli, così alcune coppie hanno la possibilità di rivedere la loro decisione, scegliersi di nuovo oppure no
La parte migliore di Per tutta la vita è l’inizio. Così poco convenzionale per il cinema medio italiano, così diretto, asciutto, senza preamboli fastidiosi ma dritto in mezzo agli eventi. Non risponde a nessuna delle solite buone regole ma gioca secondo le proprie.
A differenza di Immaturi questo film non è una commedia, nonostante ne abbia la fotografia, gli interni e gli attori, perché non ha la scrittura da commedia (oltre a non voler far ridere). Tuttavia non è nemmeno un dramma, perché non ne ha la determinazione a mettere davvero nei guai i protagonisti, non ne ha l’intreccio né il tono. Decisamente non è tutte e due le cose insieme, cioè non è un dramedy, semmai non è nessuna delle due cose. È un film che vive in un territorio di mezzo che uccide qualsiasi coinvolgimento e richiederebbe un anticonformismo che di certo non lo anima. Non si tratta di creare una nuova dimensione ma di non centrarne nessuna. Sarebbe anche la stessa zona dove si era posizionato (e bene) Perfetti sconosciuti (tra i cui molti sceneggiatori c’era anche Paolo Costella), solo che in quel caso c’era una certa enfasi sul dramma e soprattutto un intreccio che teneva comunque alta la tensione.
Forse davvero all’origine c’era l’idea di superare i generi ma il risultato è un film fatto di persone comuni che, in barba ad uno spunto ben poco comune, vivono situazioni invece molto ordinarie, reagendo però come si fa nei film, con le grandi dichiarazioni e i momenti topici messi in piazza davanti a tutti. La coerenza è scarsissima, l’artificiosità altissima, e in generale avere 8 protagonisti costringe ad una lunghezza ingrata.