La recensione di Per niente al mondo, il film di Ciro D'Emilio al cinema dal 15 settembre
Lo dicevano sempre i film di
Fritz Lang che il confine tra un uomo onesto e un criminale (o peggio un omicida) è sottilissimo e qualche gioco del caso può bastare a trasformare il primo nel secondo. Accade questo allo chef in cerca di stella Michelin con un passato nelle corse di Rally di Per niente al mondo, uomo duro ma dalla solida carriera che un tiro del destino porta in galera. In galera per un anno senza aver fatto niente, solo per una rete di sospetti, crimini di parenti e l’impressione che lui possa essere il mandante del reato. Un anno fuori dal giro con il ristorante chiuso e al ritorno gli amici di una volta che o non ti parlano più o non hanno la fibra morale per stare davvero al tuo fianco. Rimangono allora solo gli amici fatti in galera e le loro attività, non proprio pulite, per tornare in cima.
È tutto giusto in Per niente al mondo, a partire da Guido Caprino, il volto e il corpo cruciali del Nord Est italiano (da quando è diventato quello con 1992 sembra aver trovato una cifra espressiva con cui fare di tutto), per finire con una struttura tutta sconnessa che mescola eventi del passato con quelli del presente fino al futuro (ma da metà in poi seguiamo la storia più linearmente) per dare l’idea della confusione e della rapidità con cui avviene la discesa e la perdita di tutto del protagonista. Innocente a cui nessuno crede e allora tanto vale farlo davvero il criminale, almeno per raccogliere il denaro per ripartire. “Una volta sola”. Si parla di ricerca della seconda occasione all’italiana, senza nessuna aspirazione ma con un sentore di destino avverso fin dall’inizio.
Con un sacro terrore dell’attività criminale e una grande economia espressiva nel mettere in scena rapine ed inseguimenti (che non è mai incuria tecnica ma desiderio di realismo),
Ciro D’Emilio riscatta il suo fiacco esordio (
Un giorno all’improvviso) con questa storia tremendamente noir e desaturata, in cui tutti recitano con il tono giusto e con la tigna che serve, in cui un mondo in cui è facilissimo morire (dentro) e difficilissimo amare (ed essere amati) è costruito a profondità zero. Sempre vicino ai volti, sempre in inquadrature strette dalle quali capiamo poco degli ambienti, sempre con frame stretti da cui non si può uscire, Per niente al mondo trova con un grande gusto anche visivo stilemi italiani ad un genere poco praticato, rispetta i caratteri regionali, cavalca l’ardore dei paesaggi plumbei e con questo film di quasi soli uomini riesce davvero a dire qualcosa sulla parte peggiore e più nera dell’essere uomini.