Per Lucio, la recensione

Parlando la lingua del materiale di repertorio Per Lucio mette in connessione Dalla con la sua epoca e cerca di far dialogare musica e immagini per evocare

Critico e giornalista cinematografico


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Per Lucio, la recensione

Che attacco! Che attacco!!
Per Lucio parte quasi come il Maradona di Asif Kapadia, con un colpo anni ‘80 clamoroso che annuncia il fatto che flirterà per tutto il tempo con la lingua dei videoclip, asciugata delle esigenze commerciali di “vendita” e sfruttandone le capacità evocative. Tutto ovviamente alimentato da materiale di repertorio così da aprire subito uno squarcio temporale e infilarcisi. Perché i film di Pietro Marcello (siano di finzione o siano documentari) stanno sempre in un altro tempo, un altro tempo mobile e mai fisso. Stanno ovunque tranne che nel presente. A consentirglielo è proprio l’utilizzo di materiale di repertorio assieme a quello girato oggi e sgranato e invecchiato perché sembri “passato”, dietro di noi, da guardare con una specie di senno di poi. Anche per questo tutto suona immediatamente romantico, perché ha l’aria di qualcosa di morto e già mitico.

Dei molti documentari usciti su Lucio Dalla questo, si capisce ben presto, arrivando dopo tutti gli altri cerca di scardinare un po’ il solito racconto ufficiale e anche per questo svicola le interviste a molti personaggi per concentrarsi su due soltanto: Umberto Righi, storico manager di Lucio Dalla e il filosofo Stefano Bonaga. In loro Pietro Marcello cerca una voce diversa, autentica e soprattutto popolare, mai intellettuale sempre concreta. In particolare in tutta la prima parte pare letteralmente innamorato del volto di Righi, come spesso gli capita nei suoi documentari.

Sono pretesti e spunti, la vera lingua che usa il film è il materiale di repertorio, è che così che articola le sue frasi e si esprime. È materiale in cui è presente Dalla, immagini scelte bene ma senza nulla di clamoroso, e come sempre è il materiale più grande che ritrae l’Italia e gli italiani in diverse epoche, una quantità di variazioni e paesaggi, persone ed epoche con cui compone dei videoclip brevi, uno dei quali addirittura comprende immagini dei due protagonisti del suo documentario La bocca del lupo.

A Marcello interessa ben poco quel che interessa di solito agli altri (le interviste, gli aneddoti, il dietro le quinte) e molto di più la connessione tra immagini, facce da associare a Dalla e qualcosa da agganciare al potenziale evocativo della sua musica. Le storie riguardo il suo soggetto sono al massimo occasioni per creare situazioni o introdurre qualcuno. Alle volte anche solo un’epoca.
Il risultato, si potrebbe dire, è lo sguardo personale di Pietro Marcello su Lucio Dalla, ma più in grande forse è un modo di raccontare come Dalla abbia navigato gli anni che ha vissuto e in che maniera possiamo immaginare fosse immerso nelle epoche che ha attraversato

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