Peplum, la recensione
Abbiamo recensito per voi Peplum, opera di Blutch pubblicata da 001 Edizioni
Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.
Originariamente serializzata sulla rivista A Suivre alla fine degli anni ‘90, Peplum – una delle opere più importanti della nouvelle bande dessinée française – ha rischiato di restare incompiuta a causa della rottura tra il suo autore e la casa editrice che lo pubblicava. In seguito, grazie all’interessamento del marchio Cornélius, ha preso corpo l’opera di Blutch (al secolo Christian Hincker), un lavoro liberamente ispirato al Satyricon di Petronio che, grazie a 001 Edizioni, possiamo ora leggere anche in Italia in un volume brossurato dal formato ridotto (che non riprende quello originale).
È così che ha inizio una serie di situazioni tragiche - spesso paradossali - che vede protagonista il falso Cimbro, sempre più irrimediabilmente legato da un desiderio famelico a quel corpo che continua a restare avvolto nel ghiaccio. Tra pirati, tradimenti, separazioni e ricongiungimenti, la possessione del cimelio abbatte qualsiasi limite o pudore, corrodendo l’animo e il corpo del protagonista, ormai in caduta libera verso l’annichilimento.
Se lo sviluppo della trama si distacca dall’opera letteraria di Petronio, di certo ne riprende diversi aspetti stilistici: la forte componente erotica e quella parodistica, oltre alla varietà di registri linguistici e di toni che caratterizza le centosessanta pagine del volume. In questo richiamo al Satyricon non mancano aspetti che accomunano i personaggi della vicenda, un gioco di rimandi che oltre a implementare l’aura arcaica del racconto permette all’autore di fotografare con precisione una condizione umana estremamente attuale.
L'ottima riuscita di questo fumetto passa anche attraverso le soluzioni artistiche adottate da Blutch: in Peplum il bianco e nero risulta estremamente evocativo, in grado di catturare la tensione, la brutalità e l’agonia dei singoli capitoli; il tratto ruvido dell’autore alsaziano piega al proprio volere i corpi e gli sfondi che caratterizzano la vicenda, fondendo in un unico grande affresco digressioni oniriche e realtà, i sogni e gli incubi di Publio Cimbro.
La scelta di uno stile così sporco, accentuato da pennellate dense e corpose, esaspera il lato emotivo del racconto, tradisce il travaglio, le ambizioni e le caratteristiche di ognuno dei personaggi del tragicomico caravanserraglio che accompagna il lettore in un viaggio disturbante e visionario nel lato oscuro che si cela in tutti noi.