People Mountain People Sea - la recensione

[Venezia 2011] Il film a sorpresa al Festival di Venezia, People Mountain People Sea, è in sostanza un film fallito, poco profondo e troppo prolisso...

Critico e giornalista cinematografico


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Come consuetudine anche quest'anno il film a sorpresa al Festival di Venezia è un cinese. Dopo Still Life (che vinse) e La fossa (che figurò bene) è il turno di People Mountain, People Sea che da subito si capisce si inserisce sul solco dei primi due ma inferiore.

E' cinema cinese d'autore dai tempi dilatati, categoria tanto abusata quanto difficile da realizzare. Sono infatti anni che la Cina più autoriale ha cominciato a proporre un'indagine delle campagne e delle zone remote attraverso una contemplazione silenziosa e metaforica.

La ricerca da parte di un uomo dell'assassino del fratello non è un susseguirsi di indizi ritrovati e inseguimenti, ma di pasti e momenti di silenzio, interrotti ogni tanto da qualche notazione anticlimatica ("L'abbiamo trovato, però ora è fuggito e non sappiamo dove sia").

Addirittura, da un certo punto in poi il film sembra ricalcare l'ossessione che già era del Wang Bing di La fossa per l'indagine degli abissi umani e delle atrocità che si consumano nelle miniere (in questo caso, lì erano campi di lavoro). Uomini ammassati e deumanizzati, abituati ormai ad una vita violenta ed efferata.

Manca però la profondità e la capacità di contemplare quel mondo che viene descritto che era di Wang Bing. Le immagini, eterne e sfiancanti, di Cai Shangjun non si fanno mai portatrici di senso. L'errare quasi senza meta del protagonista non riesce mai a parlarci di quel che dovrebbe (anonimato? solitudine? disperazione? ricerca di qualcosa cui aggrapparsi?) come del resto non paiono parimenti funzionare i momenti vagamente sentimentali.

People Mountain, People Sea in sostanza appare un film fallito, che ad una messa in scena probante e prolissa non affianca alcuna ricompensa cinematografica.

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