Peninsula, la recensione | Roma 15

Ancora meno sensato del primo film, Peninsula ha poche idee buone che copia da film occidentali e perde ogni occasione di averne di proprie

Critico e giornalista cinematografico


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Certo ce ne voleva per fare un film su un’epidemia zombie causata da un virus scappato dai laboratori asiatici, farlo uscire adesso e non rappresentare in alcun modo quel che il mondo ha vissuto negli ultimi 6 mesi. Peninsula, seguito di Train to Busan, è stato pensato e girato prima dello scoppio dell’epidemia, quindi di certo non con il Covid in testa, lo stesso vista la trama la sua visione, adesso, avrebbe potuto contenere idee, considerazioni e rimandi al nostro presente. Invece no. Il film è così insulso e vuoto da non riuscire nemmeno nel più semplice e scontato dei paralleli involontari.

Sulla scia della blanda zombie exploitation arrivata al termine della grande moda degli zombie, partita ad inizio anni 2000, che faceva Train To Busan (con un successo mondiale) Peninsula inventa un sequel in cui la penisola coreana è stata chiusa, nessuno può uscire e nessuno entrare, una gabbia piena di zombie. I pochi che sono riusciti a fuggire vivono ad Hong Kong. In particolare un ex militare con la morte della sorella sulla coscienza e una vita da derelitto viene assoldato dalla malavita assieme ad altri disperati per una missione: andare in Corea, tra gli zombie, a recuperare un camion di soldi. Lì troveranno anche che esiste una resistenza umana. L’idea è stupenda, infatti è di Carpenter, è la riproposizione del concept 1997: Fuga da New York.

Eppure la parte più stupefacente è come Peninsula riesca a perdere subito il suo unico spunto interessante e a suo modo geniale. Quando all’inizio viene precisato che tutta la Corea è contaminata e perduta viene anche precisato che esiste un’unica zona, segregata e separata, che invece è incontaminata: la Corea del Nord. Sembra così di capire che la storia si svolgerà tra i due paesi. Invece no. È l’unica menzione di uno spunto che era pieno di promesse. Yeon Sang-ho (incredibile pensare che sia la stessa persona che ha realizzato quel capolavoro di The Fake) preferisce l’ordinario.

Così oltre a Fuga da New York cita molto cinema occidentale (“Come with me if you want to live”, viene detto ad un certo punto citando Terminator), finendo con un grande inseguimento che guarda a quello di Mad Max: Fury Road, solo in città, quindi levandogli una delle sue caratteristiche cruciali.

Certo Peninsula poi cerca come può di variare un po’ dalle solite dinamiche dei film con zombie, inventandosi che di notte i morti viventi non vedono, così da poter creare sequenze d’azione un minimo diverse. Ma sono dettagli di un film noioso in cui la fusione delle singole scene in un tutto organico è un continuo fallimento. Invece di scorrere è un continuo di frenate e ripartenze.
Già in Train to Busan era forte la sensazione dell’ennesima riproposizione di zombie senza idee, qui siamo al riciclo della copia.

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