Penguin Bloom, la recensione | TIFF 20
Naomi Watts e Andrew Lincoln non riescono del tutto a salvare Penguin Bloom, il film biografico diretto da Glendyn Ivin presentato al Toronto Film Festival
Alla regia del progetto c'è il regista australiano Glendyn Ivin, recentemente impegnato dietro la macchina da presa della ben più riuscita ed emozionante miniserie The Cry con star Jenna Coleman.
Come prevedibile, il film propone un racconto all'insegna della speranza e della forza della resilienza umana, cercando di addentrarsi nei pensieri e nella disperazione della sua protagonista, per fortuna affidata all'esperta Naomi Watts che mette a servizio del racconto uno sguardo malinconico e un'intensità in grado di mantenere a galla la narrazione che potrebbe scivolare fin troppo nell'eccesso di buoni sentimenti ed emozioni sopra le righe.
La sceneggiatura tratta dal libro di Cameron Bloom fatica infatti a trovare una chiave di lettura originale a un racconto già visto sugli schermi declinato in molti modi diversi e a celebrare l'unicità della storia dei Bloom. Watts sa però rendere emozionanti alcuni momenti come la scoperta dei pensieri dei figli, il terrore nell'assistere all'attacco del nuovo amico alato da parte di altri volatili e i tentativi di riprendere in mano la propria vita grazie allo sport.
I fan di Andrew Lincoln, inoltre, saranno felici di vederlo finalmente distante da zombie e lotte per la sopravvivenza e l'attore ricorda la sua bravura tratteggiando un marito che cerca di sostenere la moglie e la propria famiglia tentando di trovare il modo di mettere la propria forza al servizio di chi ama, provando empatia e comprensione e cercando dentro di sé la pazienza necessaria a diventare un punto di riferimento all'interno delle nuove dinamiche esistenti.
Dispiace, invece, vedere il poco spazio dato a Jacki Weaver e, soprattutto, doversi confrontare con un film in cui sembra impossibile non esprimere a parole ciò che si sta provando e vivendo, riempiendo silenzi con dialoghi poco significativi e ridondanti e non sviluppando in modo adeguato l'inaspettata connessione emotiva stabilita tra un pinguino e la protagonista a causa delle rispettive ferite, interiori e fisiche.
La regia di Ivin risulta piuttosto convenzionale e poco ispirata, faticando persino più del dovuto a sfruttare le splendide location valorizzate dalla fotografia firmata da Sam Chiplin.
Penguin Bloom, con il suo racconto semplice, rimane un po' statico nel suo tentativo di sfiorare l'animo degli spettatori, limitandosi a offrire il ritratto di una vita in grado di ispirare e che avrebbe meritato forse maggiore cura per trasmetterne il valore in modo incisivo e significativo.