Pen15 (prima stagione): la recensione

Le nostre impressioni sulla nuova dramedy di Hulu intitolata Pen15

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È quasi immediato identificare Pen15 come diretto successore di Broad City. Ancora una comedy, ancora una coppia di donne al timone del progetto, protagoniste davanti e dietro la macchina da presa in un progetto dai connotati autobiografici. Sono molti i punti in comune tra la nuova serie di Hulu e quella di Comedy Central, che da parte sua ormai volge al termine. Ma quel che è più importante è la capacità di Pen15 di rileggere con un taglio sincero e personale quell'approccio alla scrittura, farlo proprio in un filone di dramedy sempre più radicato in televisione, e sempre più utile nel lasciare emergere talenti e voci nuove. La serie creata da Maya Erskine e Anna Konkle è tra le novità più interessanti di inizio 2019.

Le due autrici interpretano nello show delle versioni molto più giovani di loro stesse. Iniziano la seconda media, hanno aspettative eccessive, fragilità appena confessate, e tutti i piccoli grandi impulsi tipici dell'età. In dieci puntate da mezz'ora dalla scrittura molto episodica, le vediamo alle prese con i problemi dell'adolescenza, in particolare di quella delicata finestra che racconta il passaggio dall'infanzia alla fase successiva. Si parla di cotte adolescenziali, bullismo, razzismo, sessualità, incomunicabilità in famiglia e non solo. Tutto questo filtrato attraverso l'ancora di salvezza dell'amicizia indissolubile.

Maya Erskine appariva in alcune puntate di Wet Hot American Summer: Ten Years Later. Dalla serie Netflix che sfruttava un'ensemble di comedian che interpretavano versioni molto più giovani di loro stessi, riprende la stessa intuizione. L'idea è tanto bizzarra quanto eseguita con intelligenza. Passato un primo momento di sbandamento, ci abituiamo all'idea dello stacco di età, e non prestiamo più caso alla trovata. D'altra parta, l'incisività delle due protagoniste vive grazie ad eccessi, anche visivi, che sono possibili grazie al fatto che le interpreti sono adulte. Per certi versi, si tratta di una soluzione simile a quella adoperata da Big Mouth con l'animazione, e che in quel caso permette di mostrare cose altrimenti impensabili, considerato che i protagonisti sono minorenni.

Ma la provocazione di Pen15 non è mai così gratuita. Filtrata da intrecci molto basilari che parlano della vergogna della crescita e dell'accettazione, e giocata sulle ripetute brutte figure delle protagoniste, c'è la voglia di trasportare con efficacia nell'anno 2000 tematiche discusse con forza maggiore oggi: sicurezza in rete, razzismo, bullismo. In questo senso il personaggio di Maya, anche in virtù delle sue origini orientali, è il più forte della coppia. Non ha la sottigliezza del miglior Atlanta, quello dell'episodio FUBU, ma riesce comunque a parlare di temi importanti senza paternalismo, ma con sincera partecipazione.

Maya e Anna vivono allora la loro adolescenza in un costante stato di meraviglia e timore, che corteggia ciò che è sconosciuto e proibito (masturbarsi, fumare) solo per poi ritrarsi al contatto con l'oggetto tabù. E c'è una intraprendenza del tutto inadeguata, anche ridicola, nei loro gesti, che dopo un iniziale respingimento conquista con la sua ingenuità. Figlia quindi di Broad City, ma perché no, anche di Fleabag, Derry Girls o SMILF, Pen15 è un nuovo esempio di serialità al femminile, di quelli che non temono la mancanza di indulgenza con le proprie protagoniste.

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