La nostra recensione di Pedágio, presentato in Concorso alla Festa del Cinema di Roma 2023
Una delle prime scene di
Pedágio ci mostra la protagonista in un campo lungo, con la sua piccola figura schiacciata dalle alte ciminiere che dominano l'inquadratura. Un immagine chiave del film, che tornerà più volte, con l'obiettivo di inserire i personaggi nei contesto in cui si trovano, una città del Brasile tra le più industrializzate del Paese. Il degrado del centro abitato, la povertà delle abitazioni, il predominio delle fabbriche che contribuiscono a un grande inquinamento. Una realtà che non lascia scampo a chi ci abita, come Suellen, addetta al pagamento del pedaggio dell'autostrada, e suo figlio Tiquinho, diciasettenne appassionato di dive classiche che imita indossando golfini rosa e riprendendosi con il cellulare. Quando le sue esibizioni finiscono online, la donna è in imbarazzo: spinta da una collega, iscrive il ragazzo a un seminario di "riconversione sessuale".
Il film di Carolina Markowicz è quindi una chiara storia di denuncia di un mondo che ancora non accetta gli omossessuali, tale da permettere questo "corso" tenuto da un pastore che si atteggia da santone, ritratto in tutto il suo lato grottesco. Mezzo di sensibilizzazione verso una realtà lontana e pratiche aberranti ma purtoppo ancora presenti, attraverso uno svolgimento che sembra asservito al discorso portante, procedendo senza scossoni. Ma è nei dettagli che Pedagio trova il modo di smarcarsi dalla programmaticità.
Fondamentale è prima di tutto il ritratto della madre, lontana dall'essere un mostro da condannare. Il film, proprio attraverso la messa in scena che citavamo in apertura, rendendo chiaro da dove nasca il suo malcontento verso Tiquinho. La donna subisce infatti l'influenza delle persone intorno a lei, pieni di pregiudizi, e della situazione in cui si ritrova, in cui la povertà e una religione molto reazionaria giocano un ruolo fondamentale, tali da rendere difficile la vita a chi dichiara la propria omosessualità. Così, rimane intatto l'affetto che il genitore ha nei confronti del figlio: non c'è odio ma una relazione resa complessa da fattori esterni, trovando poi una parziale evoluzione sul finale. Significativa infatti un'immagine, dove in primo piano ci sarà la donna mentre il resto è sfocato: emblema che anche lei sta cambiando, trovando il modo di staccarsi da ciò che la circonda. La forza dei singoli che, almeno nella dimensione privata, ha la meglio.
Allo stesso modo, i toni di Pedágio sono mesti ma non rassegnati né ricattatori: Markowicz non abbellisce quello che rappresenta ma d'altro canto non scava nei suoi aspetti più scabrosi per scioccare gratuitamente lo spettatore. Lascia intravedere spiragli di luce, come una donna che non ha paura di insegnare ai ragazzini a ballare in mezzo alla miseria, simbolo di vera educazione. Così il film, dopo una partenza a rilento, riesce ad avvincere, a farsi acuto ritratto di un contesto duro senza sacrificare la dimensione narrativa né i suoi personaggi. Un notevole risultato, viste le premesse di partenza.