Pearl, la recensione

La nostra recensione di Pearl, film horror diretto da Ti West e con protagonista Mia Goth. Presentato Fuori Concorso a Venezia 79

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La recensione di Pearl, presentato Fuori Concorso al Festival di Venezia

C’è solo una cosa che accomuna X: A Sexy Horror Story di Ti West con il prequel, sempre da lui diretto, Pearl (oltre al fatto che si tratta ovviamente dell’origin story di un personaggio del film): l’idea di cinema come strumento per cambiare una certa realtà opprimente e della performance - qui non più porno, ma come danza macabra - come modo per attuare una liberazione.

Se in X: A Sexy Horror Story Ti West pareva avere le idee abbastanza confuse su come indirizzare il suo sguardo autoriale e la sua riflesisone metacinematografica, con Pearl compie un’operazione invece sorprendente, perfettamente orchestrata, coinvolgente. L’idea, fortissima, è infatti di raccontare la storia del personaggio anziano del film (la vecchia, che qui vediamo nella sua giovinezza) attraverso una cornice volutamente mélo ed esagerata, come se si trattasse della parodia di un melodramma di Douglas Sirk.

Ogni dettaglio, dal font scelto per i titoli di testa alla musica per arrivare all’elemento centrale, ovvero la recitazione esagerata e allo stesso tempo meravigliosamente inquietante di Mia Goth (che qui è magistrale), va infatti nella direzione di creare questo effetto di spaesamento linguistico. La dimensione orrorifica si mescola infatti in Pearl con quel tipo di cinema che negli anni Cinquanta aveva reso il melodramma hollywoodiano la culla di una riflessione sulla società e su un mondo familiare e relazionale (soprattutto amoroso) in crisi, dove erano sempre il simbolico e il richiamo visivo (attraverso i colori, gli abiti, la messa in scena e le battute recitate con grande pathos) a veicolare le intenzioni dell’autore.

Ambientato nel 1918, Pearl riprende la stessa identica location di X: A Sexy Horror Story attuando un viaggio indietro nel tempo. Pearl (appunto Mia Goth) è sposata ma suo marito è in Europa a combattere al fronte: costretta ad aspettarlo a casa, Pearl deve aiutare la madre severa con i lavori di casa e prendersi cura del padre malato che ha contratto la febbre spagnola. In questa cornice storica si innesta però il perturbante: Ti West sparge qua e là dettagli angoscianti, vestendo Mia Goth come una bambolina salvo poi osservarne lo sguardo inquietante e gli sbotti improvvisi di rabbia che squarciano di colpo quel mondo incantato e apparentemente sicuro in cui ci aveva invece inserito (ingannandoci) all'inizio del film: come se il cinema delle grandi speranze, dei grandi sentimenti, fosse in sé un mero schermo dietro cui nascondere angosce indicibili e che invece in Pearl si manifestano con lampi improvvisi di violenza e disperazione.

In questo crescendo continuo di tensione è sempre il cinema ad essere centrale, o meglio l’idea di  performance filmata e vista: Pearl vorrebbe infatti diventare ballerina, andarsene di casa, e comincia a covare un’odio sempre più forte verso chi la circonda e chi le impedisce di realizzare il suo sogno. Lei si sente una star, vuole essere vista: sono allora la danza - su un palco vero e proprio - e la violenza - a renderla, amaramente, finalmente padrona del suo corpo e della sua vita.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Pearl? Scrivetelo nei commenti!

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